Le grandi manovre sono iniziate da tempo, sotterranee e d’alto bordo. I “signori del vento”, con “basisti” e complici terrestri, si sono mossi come se sapessero tutto. Come se dagli incauti Palazzi di Roma qualcuno li avesse preallertati: cercatevi un porto per sbarcare in Sardegna. Lo hanno fatto, in ordine sparso, con mille sotterfugi e infiniti lasciapassare, come se al momento giusto dovessero arrivare puntuali all’appuntamento "sussurrato” dal Governo. Un passaggio chiave, dove molte maschere potrebbero calare, dove i messaggi cifrati si potrebbero tradurre in un attimo in atti politici, amministrativi e istituzionali.

I tempi dell’invasione

A dettare i tempi è un anonimo ufficio della Capitale, al secolo Dipartimento Energia del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Da quell’anfratto ministeriale è partito il cablogramma, rigorosamente cifrato e silenzioso, riservato alle Autorità Portuali, con una missione e una scadenza rigorosa, quella del 18 maggio. Diciotto giorni dal passaggio di Sant’Efis a Giorgino per scoprire le carte, per svelare quei piani sempre sottotraccia, confusi tra migliaia di carte progettuali e concessioni tanto contrastate quanto irruente. La missione è scandita nell’avviso pubblico destinato agli addetti ai lavori. L’oggetto del bando non ha il dono della sintesi.

Cercasi porti eolici

Per leggerlo tutto d’un fiato serve una bombola subacquea: «Acquisire manifestazioni di interesse per l’individuazione, in porti rientranti nelle Autorità di sistema portuale o in aree portuali limitrofe ad aree nelle quali sia in corso l'eliminazione graduale dell'uso del carbone, di aree demaniali marittime con relativi specchi acquei esterni alle difese foranee da destinare, attraverso gli strumenti di pianificazione in ambito portuale, alla realizzazione di infrastrutture idonee a garantire lo sviluppo degli investimenti del settore della cantieristica navale per la produzione, l'assemblaggio e il varo di piattaforme galleggianti e delle infrastrutture elettriche funzionali allo sviluppo della cantieristica navale per la produzione di energia eolica in mare».

Alluvioni & pale

Più che un avviso di Palazzo sembra il proclama di un’invasione annunciata, con tanto di grimaldelli, caratteristiche e dettagli da far storcere di tutto e di più. In pratica Roma cerca porti nel sud Italia da adibire a piattaforme eoliche, funzionali a “tirar su” pale terrestri e marine ovunque, puntando in particolar modo alla devastazione dell’orizzonte costiero. Lo avevamo preannunciato quando il Parlamento, a dicembre scorso, discuteva del provvedimento “alluvioni”, il famigerato decreto-legge 9 dicembre 2023, n.181. In quell’occasione, contravvenendo alla norma costituzionale su omogeneità e urgenza dei decreti-legge, si decise di “schiaffarci” dentro l’ennesima “spintarella” di Stato a favore dei “signori delle pale”. Il messaggio contenuto nel testo convertito in legge era esplicito: «il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica pubblica un avviso volto all’acquisizione di manifestazioni di interesse per la individuazione, in almeno due porti del Mezzogiorno, di poli strutturali per l’energia eolica in mare». Un parametro di scelta su tutti sembra esser stato scritto per la Sardegna, visto che tra «le aree nelle quali sia in corso l'eliminazione graduale dell'uso del carbone» c’è proprio l’Isola con le centrali sarde di Portovesme e Porto Torres, praticamente due su sei. Le altre 4 sono dislocate a Fusina, nel Veneto, a Brindisi in Puglia, a Civitavecchia nel Lazio, e una a Monfalcone in Friuli. Se si escludono quelle del nord e del centro Italia, totalmente ignorate dalla presentazione di progetti eolici, resterebbero in campo Puglia e Sardegna, due regioni subissate da centinaia di progetti terresti e a mare. Quel requisito dell’uscita dei territori dal carbone è indizio fin troppo chiaro, imposto dal legislatore nella contesa d’aula, tra emendamenti e colpi di mano. I requisiti di porti e avamporti sono “di fatto” nomi e cognomi, scritti come se avessero le idee ben chiare. La prima tranche di richieste è racchiusa nel capitolo “costruzione e assemblaggio dei galleggianti”. In questa categoria rientrano «le banchine con caratteristiche idonee a garantire la logistica dei componenti, aree di deposito, linee di assemblaggio dei componenti, aree di deposito dei moduli assemblati, strutture cantieristiche per movimentazione e varo, aree di ormeggio/sosta in acqua». Il secondo capitolo è sempre più “eolico: chiedono «aree per integrazione dei componenti della turbina eolica (torre, navicella e pale) con il galleggiante alle aree a mare per la sosta in ormeggio delle turbine galleggianti». Dunque, non ci sono più margini temporali per continuare a giocare a carte coperte. Entro il 18 maggio prossimo l’Autorità di Sistema della Sardegna, il soggetto statale che governa i porti dell’Isola, dovrà decidere se candidare o meno, uno o più porti sardi, alla corsa per diventare piattaforma eolica del Mezzogiorno, da cui pianificare e dispiegare l’assalto eolico all’Isola.

Scacchiere precostituito

Un pericolo che si è già abbondantemente materializzato nell’ultimo anno con atti e concessioni che sembrano aver precostituito la “calata” delle multinazionali nei porti sardi. Lo scacchiere è complesso e articolato. L’indiziato numero uno, per caratteristiche richieste, è proprio il Porto Canale di Cagliari, la più importante infrastruttura portuale dell’Isola, fatta naufragare per responsabilità mai accertate, e che ora vede un’immensa area assegnata con tanto di concessione dell’Autorità Portuale ad una società, la “Nuova Icom”, che come primo obiettivo del proprio “business” aveva dichiarato proprio quello di assemblare pale eoliche. In quest’area del porto di “Giorgino” sarebbero rispettate gran parte delle caratteristiche tecniche indicate dal bando ministeriale. Sull’area e sul capannone, però, pesa un ricorso del Cacip, il Consorzio Industriale di Macchiareddu, che ha contestato al Tar sia concessione che la stessa autorizzazione edificatoria.

Prove generali

Non sono mancate le contestazioni, questa volta sindacali, nemmeno per l’altra concessione rilasciata dall’Autorità Portuale nel secondo porto indiziato, quello di Arbatax. In questo caso, il via libera a caricare e scaricare pale, a due passi dall’area della Saipem, l’ha ottenuto una sconosciuta società pugliese, la “Green Port Italy”, collegata ad un gruppo di rilievo nazionale connesso al settore eolico. Da qualche giorno, nel proscenio dei porti a rischio di candidatura eolica, c’è quello di Oristano, trasformato, non si sa in base a quali autorizzazioni, in un vero e proprio centro di stoccaggio di pale eoliche con il piazzale che pullula di gigantesche eliche e piloni. Nello scacchiere non manca nemmeno Porto Torres che, attraverso l’Eni, potrebbe puntare alla candidatura eolica. Nei piazzali del versante industriale del porto turritano, infatti, non mancano decine di pale già distese sulla banchina.

Countdown per la verità

A questo punto è evidente che se arriverà la candidatura di uno dei porti sardi per trasformarlo in piattaforma eolica per l’invasione della Sardegna le carte saranno definitivamente scoperte. Con protagonisti e piani d’assalto che non potranno più restare nell’ombra. Nei Palazzi di Cagliari regna il silenzio, ma il countdown della verità è già scattato.

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