Una mano lunga e silenziosa, pesante e invadente. Apparentemente invisibile, venuta da molto lontano. Un’unica raccomandazione, non scambiatelo per tatto. Nei moderni manuali del Partito Comunista Cinese la tecnica del “soft power”, il “potere dolce”, è scolpita nel capitolo della strategia. Nell’anno del “Dragone”, l’uomo nato sotto il segno dei “Serpenti”, veste occidentale, come se frequentasse da sempre la maison del prêt-à-porter di Francia.

Scacchiere a tavolino

In realtà, lui, il numero uno della Repubblica Popolare Cinese, quando adagia i suoi primi passi sulla pista dell’aeroporto Orly di Parigi, sa quel che deve fare. La missione è uno scacchiere studiato a tavolino, un’incursione diplomatica nel cuore dell’Europa. L’obiettivo è chiaro: mandare segnali, stringere relazioni, imprimere nell’immaginario collettivo l’icona di un “comunista” che rassicura. Per memorizzare il suo nome non bisogna ricorrere a manuali di scienze cognitive: «Xi», come lo chiamano tutti, salvo poi avventurarsi nell’addendum di «Jinping». Giocherà di sponda il leader cinese in terra d’Occidente. Per due giorni ha scorrazzato tra valli, montagne e “grandeur” di Francia, facendo finta di esser lì per magnificare l’ambizione di Emmanuel Macron di diventare il suo primo interlocutore sul versante opposto.

Scompliglio d’Occidente

In realtà “Xi” ha scelto la Torre Eiffel per mandare un segnale chiaro al traballante inquilino della White House, quel Joe Biden che lo aveva apostrofato con il meno efficace degli insulti: un dittatore. La passeggiata franco-cinese sugli Champs Élysées è un messaggio cifrato: non siamo isolati, pronti a dialogare con chi, almeno a parole, come la Francia, si professa capace di allentare il “cordone ombelicale” con l’invadenza americana in Europa. Il triangolo della visita cinese è tutto a ridosso del “Checkpoint Charlie”, la linea di confine tra Oriente e Occidente. Dopo Parigi, oggi, Xi Jinping, arriva dal più putiniano dei leader europei, quel Viktor Orban che dell’Ungheria è Presidente. Non una visita di cortesia, ma il chiaro tentativo di rafforzamento dell’asse geopolitico alternativo alla supremazia americana nell’antico Continente. E non è un caso che l’ultima tappa cinese sarà in Serbia. Ad attenderlo Aleksandar Vučić, il premier più in bilico dello scacchiere europeo, a due passi dall'adesione all'Unione Europea e a mezzo passo dalla Russia di Vladimir Putin.

Niente Italia

Non verrà, invece, in Italia, Xi Jinping. E non c’era da dubitarne, dopo la prematura dipartita del Bel Paese dalla “Via della Seta”, ridimensionando i rapporti sull’ordinaria via del “partenariato” estero. Non si sono dati per disperati gli eredi di Mao Tze-Tung. Applicando la tecnica più avanzata del “dolce incedere”, senza ricorrere a proclami d’invasione, gli uomini del “Partito-Stato” hanno deciso di circondare il futuro energetico d’Europa, a partire proprio dalla terra più isolata, la Sardegna.

Harakiri energetico

Il “Made in China” non ha avuto bisogno di elaborare grandi strategie per mettere le mani sull’Isola. Si è trattato semmai di una sorta di «harakiri» geopolitico dell'Italia che, di fatto, ha svenduto il dominio energetico dell’Isola alla Cina. Una scelta devastante se solo si guarda allo scenario strategico ed energetico mondiale. L’Italia, con i suoi, almeno apparentemente, più illuminati “stakeholders”, ha deciso, infatti, di mettere totalmente la Sardegna nelle mani di Pechino, come cedergli, persino pagandoli a caro prezzo, la fantomatica “conversione” green dell’Isola.

Dragone & Serpente

Le «mani cinesi» sulla Sardegna, a differenza di quanto si può immaginare, non sono una forzatura mediatica. Semmai un dato di fatto: documentato, misurabile, evidente ad occhio nudo. Un’invasione che avanza ogni giorno di più, dal nord al sud dell’Isola. La Cina del “Dragone”, infatti, ha colto la palla al balzo e, a sua volta, ha deciso, con la “scaltrezza” di un “Serpente”, di insinuarsi ovunque. Qui, in terra sarda, a distanza di 9.000 chilometri dalla terra di Confucio, arriva tutto dall’antica Cina: dalla fornitura della materia prima del fotovoltaico, con milioni di pannelli prodotti nelle Province più lontane dell’impero cinese, alle ciclopiche batterie al Litio, l’ennesimo “cappio al collo” per l’economia sarda. A questa invasione infinita di specchi di silicio e di container carichi di Litio si deve aggiungere l’ultima mossa degli uomini e delle donne di Xi: produrre direttamente energia solare e incentivi in Sardegna.

"Potere dolce”

Un’operazione costruita silenziosamente nei meandri della finanza mondiale, applicando la perfida tecnica del “potere dolce”: si impone, ma non si vede. La scalata al progetto da mille ettari di fotovoltaico nella terra della Nurra, nel nord Sardegna, potenzialmente una delle più grandi distese al mondo, acquisita dai cinesi nelle scorse settimane attraverso una compagine “spia” spagnola, è solo la prova generale di quel che può dispiegare la strategia “comunista” nel Mediterraneo.

Sovranisti & cinesi

La domanda è d’obbligo: può un Governo che si autodefinisce “sovranista” ignorare e consentire questo genere di incursioni in un asset, quello energetico, strategico e delicato come pochi, mettendo di fatto in “mani cinesi” uno degli interruttori del sistema energetico del proprio Paese? Il silenzio su questa vicenda lascia trasparire due inquietanti ipotesi: i cinesi hanno agito in barba a servizi segreti e “golden power” oppure il “colpo” è stato messo a segno con la complicità di più soggetti, magari nei posti chiavi della gestione energetica italiana. Saranno gli atti a svelare la verità su questa “incursione” cinese nel futuro energetico della Sardegna.

Pannelli e batterie

Niente, invece, resta da scoprire, su quel che sta accadendo sugli altri due versanti: pannelli fotovoltaici e batterie. Nell’Isola, non c’è una sola distesa di fotovoltaico che non sia marchiata “Made in China”. Usano i pannelli di Pechino persino gli americani della JP Morgan, grazie ai quali stanno devastando a colpi di immense distese fotovoltaiche le pendici del Monte Arcosu e le colline di Ottana. Dai promontori della Gallura a quelli del Campidano, i pallets di pannelli hanno tutti il marchio indelebile del Dragone, tutti giunti dall’altra parte del mondo.

Dipendenza da silicio

Una “dipendenza” che non lascia scampo, trasformando l’Isola nel più imponente “deposito” di silicio cinese, destinato ad ampliarsi a dismisura con gli investimenti del “Dragone” che ha già fatto capire che, se non saranno altri ad utilizzare i loro pannelli, lo faranno le società cinesi in prima persona. Non una minaccia, ma un’esigenza impellente, visto che tutti i dati della produzione di “specchi” solari cinesi, lasciano trasparire un’imponente sovrapproduzione rispetto all’uso interno della transizione energetica d’Oriente. Un’invasione che la stessa Europa vorrebbe arginare con dazi e contromisure, ma che non ha la forza di introdurre proprio perché il monopolio cinese ha già messo spalle al muro le già limitate produzioni occidentali.

Lo sbarco del Litio

A questo si aggiunge lo sbarco nell’Isola di una montagna di Litio. Dai porti sardi, infatti, è un quotidiano trasbordo di centinaia di tir che stanno inondando di batterie cinesi gran parte dei presidi elettrici dell’Isola, sia di società di Stato che private. È appena iniziata la costruzione della batteria di Quartucciu, la più grande dell’Isola con 180 megawatt. Si moltiplicano quelle di Portovesme, oltre 120 megawatt, di Fiume Santo, altri 100 mw, sino a Codrongianus, Selargius, Furtei, Sanluri, Oristano e Nulvi. In tutto mille container di Litio, per una batteria complessiva di 800 megawatt, quasi come due centrali elettriche. Un investimento che sino ad oggi ha fruttato ai cinesi la bellezza di oltre 400 milioni di euro. La Sardegna con questa calata di batterie, le stesse bandite dagli Stati Uniti per ragioni di sicurezza, sarà totalmente “ostaggio" della Cina. I sardi, alla fin dei conti, non avranno più l’energia minima necessaria per lo sviluppo e la crescita, ma nel contempo saranno diventati una nuova “colonia” cinese nel Mediterraneo. Con il silenzio e la complicità di molti.

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