Gran premio d’Australia 1993. Il giornalista Max Fogerty durante la conferenza stampa chiede ad Ayrton Senna: “Qual è stato il tuo più grande avversario in carriera?”. Uno si aspetta di sentire il nome di Prost, Mansell o Piquet. Il brasiliano invece spiazza tutti e risponde pronunciando un nome a molti sconosciuto, quello di Terry Fullerton, un inglese che tra il 1978 e il 1980, quando era pilota di go-kart, lo faceva letteralmente impazzire. “Un pilota veloce, consistente e completo”, disse Senna. Settembre 2022: chissà cosa risponderebbe oggi invece Roger Federer se gli facessero la stessa domanda. Magari farebbe il nome di Nadal (col quale ha pianto, mano nella mano, a Londra qualche giorno fa durante il suo ultimo incontro in occasione della Laver Cup). O forse Djokovic. O forse nessuno dei due. Forse, chissà, farebbe il nome del cagliaritano Stefano Mocci, ex bambino prodigio del tennis azzurro, campione d’Italia under 14 e under 16, più volte re incontrastato di Sardegna (in singolare e in doppio) e oggi maestro nel suo storico circolo, il Tennis club Cagliari. Firenze, 1991: Stefano Mocci, appena bambino gioca un torneo in doppio con Francesco Aldi. Dall’altra parte, un giapponese che viveva in Svizzera, Jun Kato, e uno svizzero che viveva in Svizzera, Roger Federer, anche lui appena dieci anni. A Firenze quel match finì con la vittoria di Mocci in tre set tiratissimi. Chissà se qualcuno dei presenti avrebbe mai immaginato ciò che il destino aveva in serbo per loro: uno dei due sarebbe diventato mister 20 Slam, l’altro un talento purissimo (e anche più sprecato) del tennis sardo degli ultimi 40 anni, uno che sembrava avere il tennis nel patrimonio genetico ma che non è mai riuscito a superare la 569esima posizione Atp quando era un professionista, sebbene avesse la classe e il talento di un top ten.  

Il giovane Federer, ancora lontano dal diventare Re, forse si ricorderà di quell’incontro o forse no. Di sicuro è ancora vivo il ricordo di qualche giorno fa, quando a Londra ha salutato a 41 anni, in lacrime, il mondo del tennis. Per sempre, senza rimpianti (e ci mancherebbe) e senza rimorsi (forse l’unico, quello di non essere riuscito a vincere la sua ultima finale giocata a Wimbledon nella partita del secolo contro Djokovic, nel 2019, persa in cinque set).

Si è meritato il privilegio di lasciare, Federer, giocando in doppio con l’avversario che in tutti questi anni lo ha fatto più dannare (insieme a Djokovic), ovvero quel Rafa Nadal con cui il bilancio è di 16 vinte e 24 perse. Nella Londra che ha da poco dato l'addio alla regina che ha chiuso il ventesimo secolo, Federer che quel secolo l'ha fatto rivivere con il suo stile, ha ricordato che il suo regno è stato la bellezza. È stato una religione più che un campione. Non ha avuto tifosi, ma adepti, perché con lui in campo si entrava in un regno. Non c’è bisogno di leggere la classifica per dire che è stato il giocatore più forte. Però i numeri dicono quanto sia stato un fenomeno: 237 settimane consecutive da numero uno, primo a vincere 20 titoli del Grande Slam, più di milleduecento vittorie, secondo solo a Jimmy Connors, oltre cento successi nei tornei Atp e, perché no, mettiamoci anche la finale 2019 a Wimbledon, ancora quella, persa contro Djokovic che con 4 ore e 57 minuti è la più lunga del torneo in più di 140 anni di storia.

Adesso ha detto basta. A dire stop è stato soprattutto il suo fisico, provato da tre anni, proprio da quella finale persa a Wimbledon: una sfilza di operazioni al ginocchio gli hanno impedito di essere più competitivo. L’ultima partita, nel 2021, un quarto di finale, guarda caso ancora sull’erba di Wimbledon, è finita con una sconfitta in tre set contro il polacco Hurkacz. Una sconfitta che a tutti era sembrata una resa, l’anticipo di un addio, soprattutto per quel 6-0 subito (il secondo nella sua carriera dopo quello della finale di Parigi, nel 2008, incassato da Nadal). Ora scorrono i titoli di coda, davvero. Il Re si arrende, ma non resta nudo. Adriano Panatta, non certo l’ultimo arrivato, ha detto che non si è ritirato Roger Federer, ma il tennis. Ha ragione.

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