Siamo ormai nel vivo del programma che interessa l’ultima edizione del Festival di Cannes, e fra i titoli selezionati “Furiosa: a Mad Max Saga” di George Miller promette di lasciare il pubblico senza fiato. Il prequel/spin-off del post apocalittico “Mad Max: Fury Road” punta a surclassare l’azione da cardiopalma del titolo precedente approfondendo la storia del personaggio di “Furiosa”, interpretata dalla splendida Anya Taylor-Joy.

Un progetto che intende sfruttare appieno l’ambientazione e il potenziale espressivo della saga per dare ancor più spessore al profilo della donna guerriera, dal rapimento per mano del perfido Dementus alla scalata verso la libertà. Atterrata da poco in Francia, la Taylor-Joy dichiarò già a fine 2022 che l’esperienza sul set al fianco di Miller è stata capace di cambiarle la vita: «Mi ci vorranno due anni interi prima che il film esca nelle sale, sarà solo allora che potrò iniziare a elaborare ciò che ho appena concluso. Furiosa è stata un'esperienza vissuta al fianco di artisti talentosi che mi ha cambiato la vita. Credo di essere cresciuta moltissimo. Si, è stato pazzesco. È assolutamente unico».

Più recentemente, l’attrice ha parlato a Variety dei turni estenuanti in reparto trucco, obbligata ad alzarsi alle prime ore del mattino dopo una giornata intera di riprese. Oltre alle esigenze di look, l’attrice ha dichiarato di essersi sottoposta a una vera e propria trasformazione fisica per entrare più in profondità nel personaggio: «Non ci credereste se vi dicessi come dovevo essere sporca per essere pronta ad andare davanti alla telecamera. La prima volta che mi sono guardata allo specchio ho reagito pensando: wow!. Sembravo una creatura della laguna nera. Ci sono sette strati di trucco. Ovviamente c'è del sangue. Sono sempre la ragazza che dice più sangue!».

Per gestire invece la troppo fatica riscontrata in alcuni momenti, la Taylor-Joy ha dovuto escogitare le strategie opportune: «C'erano alcuni giorni in cui ho decisamente avuto bisogno di liberarmi dallo stress. Ho sviluppato una dipendenza realmente strana dalle storie in cui le persone stanno combattendo contro il male. Ho trovato un vero conforto nel vedere la quarta stagione di Stranger Things. Dovevo avere qualcosa sul mio telefono che mi ricordasse la bontà esistente nel mondo».

Alle rivelazioni della star seguono quelle del regista Frank Miller, che affiancandosi al parere di altri suoi colleghi come Denis Villeneuve ha affermato al The Telegraph di essere tendenzialmente poco orientato ai dialoghi nei suoi film. Dopo aver svelato che la Taylor-Joy avrà solamente trenta battute, il director ha chiarito che l’atto del parlare va contro la spinta naturale dell’azione, e ha poi aggiunto: «Il problema con i dialoghi è che tendono a rallentare le cose. Il cinema è un mezzo che spesso si gusta meglio ad alta velocità».

Più specificamente, Miller si è definito un sostenitore del “cinema puro”, come nel caso di Charlie Chaplin, e ha avvalorato le sue posizioni ammiccando a un altro storico cineasta: «Hitchcock preferiva i film in cui non si dovevano leggere i sottotitoli se venivano proiettati in Giappone». In fondo, quando si tratta di scegliere il mezzo più congeniale per il cinema è impossibile mettersi d’accordo. Senza dubbio, la storia del media ha insegnato tanto in questo senso e il lascito dei grandi maestri serve ancora oggi da punto di riferimento.

A tal proposito, un altro che in passato ha dimostrato di pensarla come Miller è stato Stanley Kubrick, riferendosi in particolare alla funzione espressiva delle immagini: «Quando si pensa ai momenti più belli del cinema, credo che si tratti quasi sempre di immagini piuttosto che di scene, e certamente mai di dialoghi. La cosa che un film fa meglio è usare le immagini con la musica e credo che questi siano i momenti che si ricordano».

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