Pronto al debutto nelle sale italiane, il dramma distopico “Civil War” del britannico Alex Garland, ricordato in particolare per la sceneggiatura di titoli cult come “28 giorni dopo” e per il vincitore agli Oscar del 2016 “Ex Machina”, ha scatenato fin dalle prime apparizioni un considerevole eco mediatico preannunciando un’esperienza visiva ad alto tasso di realismo e tensione.

Ispirato ai recenti dibattiti di natura politica e ideologica che interessano la comunità americana, assistiamo ad un futuribile e inquietante scenario di guerra civile che immagina le possibili conseguenze di un crollo del sistema. Nel mezzo degli scontri urbani, il film osserva in contemporanea differenti situazioni: abbattuto l’assetto federale che lega insieme gli stati, le vaie fazioni si scontrano le une contro le altre contrapponendo l’autoritarismo alla democrazia. Nel frattempo, un gruppo di giornalisti e reporter si adoperano per documentare quanto sta accadendo, provando a contattare il presidente degli Stati Uniti prima che i secessionisti prendano d’assalto la Casa Bianca.

Dallo studio della fase depressiva che stanno attraversando le democrazie mondiali, alle pericolose conseguenze che possono derivare da una radicata forma di estremismo, fino all’importanza del giornalismo investigativo nel tentare di far luce senza scadere nella propaganda, “Civil War” si prospetta come uno dei titoli più attesi della stagione, al punto da aver suscitato l’attenzione e il plauso del noto scrittore americano Stephen King che ha condiviso con un breve scritto sul suo profilo Instagram il proprio feedback personale: “Civil War, film fantastico. Il ritmo è fantastico, tutto muscoli, niente grasso. Mi ha ricordato un po' Il segno rosso del coraggio”. Con questo riferimento King allude al romanzo del 1895 di Stephen Crane, che racconta le esperienze di un soldato diciottenne in piena guerra di secessione attraverso un focus specifico sulle disparità di idee nel tessuto sociale.

Come lo stesso Crane prima di lui, anche Garland punta a far riflettere il suo pubblico. Ciò appare chiaro dalle ultime dichiarazioni rilasciate a Indiewire: «La mia speranza è di creare qualcosa di coinvolgente e avvincente, ma il risultato vuole essere una sorta di discussione. Sono molto cauto rispetto alle cose che potrebbero bloccare una discussione. Bisogna stare attenti a come si fanno, in un certo senso. Per certi versi è qualcosa di unilaterale, perché un film sta semplicemente dando qualcosa all'altra parte e il pubblico viene reso silenzioso. Io sto cercando di ridurre quel silenzio».

Un lavoro così intenso ha richiesto agli interpreti una prova di resistenza non comune. Risultano interessanti a questo proposito le confessioni dell’attrice Kristen Dunst, che lo scorso mese ha rivelato a Total Film di aver subito un trauma dopo il termine delle riprese: «Abbiamo girato le scene praticamente in ordine cronologico, e quindi le ultime due settimane sono state tutte sparatorie ed esplosioni: è stato molto intenso. Voglio dire, sono in grado di andare avanti una volta finito il lavoro sul set, ma ho provato un leggero trauma nel tornare alla vita normale dopo questa esperienza. Mi sono sentita fuori di me per ben due settimane».

Altro aspetto che attira ancor più attenzione sul titolo è il fatto che “Civil War” sarà per Garland l’ultima esperienza da regista, come affermato pochi giorni fa in un’intervista rilasciata al Guardian: «Non ho intenzione di tornare a dirigere nel prossimo futuro. Amo davvero il cinema, ma il cinema non esiste nel vuoto. Esiste in una vita e anche in un contesto più ampio. Devo interagire, in un certo senso, senza essere scortese».

Visti i precedenti successi e le notevoli aspettative sulla sua ultima fatica, speriamo che il director possa ritrattare nel prossimo periodo le sue posizioni, e tornare dietro la cinepresa concedendoci ancora una volta un’opera degna del suo talento.

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