G li aspetti fortemente negativi della recessione socio-economica in atto a causa del lockdown da pandemia hanno messo in luce, anche qui in Sardegna, l'inadeguatezza e l'impreparazione della classe politica al potere. Un giudizio ormai abbastanza diffuso e che lo si ritrova quasi quotidianamente nelle lettere che i lettori inviano a questo giornale, in cui ne vengono sottolineate criticamente le incapacità e le insufficienze dimostrate nell'affrontare i gravi problemi aperti nel nostro sistema economico.

In effetti, troppi fatti portano a ritenere che a una politica-guida si sia sostituita una politica-tampone, con ciò intendendo che l'attuale government dell'Isola non abbia altra capacità al di fuori di quella di introdurre degli aggiustamenti più o meno clientelari (come più Province e più Asl), in modo da tacitare i propri campanili e i propri capi-bastone. Senza dimostrare di possedere l'attitudine politica necessaria per affrontare, con le dovute iniziative, l'irrimandabile risanamento riformistico.

D'altra parte nonostante la perdita di oltre il 35 per cento del prodotto interno e di circa 40 mila posti di lavoro, si è lasciato il posto, nell'elaborazione politica dei primi 500 giorni dell'attuale legislatura (quella che nasce dal lavoro della Giunta e del Consiglio della Regione), quasi esclusivamente proprio a una moltiplicazione delle Province e delle Asl, interventi assolutamente inadatti e contrastanti, per comune convinzione, sul come debba essere affrontata una situazione di estrema gravità.

P erché dovrebbe essere la produzione di un maggior reddito, e non del suo utilizzo, la regola irrinunciabile per assicurare dei rassicuranti risultati soprattutto in un periodo difficile come quello che stiamo attraversando a causa dell'emergenza sanitaria.

In particolare, s'avverte chiaramente la mancanza di quella che s'usa chiamare “cultura di governo”, cioè le competenze e le esperienze indispensabili per formulare programmi, indicare priorità, effettuare scelte e proporre interventi di riforma. Purtroppo le cronache testimoniano che si è di fronte ad un personale di governo d'insufficiente capacità e di chiara impreparazione (i casi dell'agricoltura, dei trasporti e del turismo paiono emblematici), risultato privo di quelle doti e di quelle conoscenze necessarie per andare oltre l'ordinaria amministrazione ed effettuare scelte di fondo.

Di queste anormalità ne ha già scritto proprio su queste colonne con la dovuta crudezza Massimo Crivelli, sottolineando come di fronte ad una crisi del sistema socio-economico dell'isola, ben altre avrebbero dovuto essere le scelte della classe politica regionale. Che sembrerebbe non volersi accorgere che più di un terzo delle imprese isolane rischiano la chiusura, che il movimento dei trasporti aerei e marittimi s'è più che dimezzato, che un albergo su quattro rischia di non riaprire, che il non lavoro riguarda ormai oltre la metà dei giovani sotto i 35 anni, che l'usura ha visto decuplicarsi la sua clientela, che la povertà affligge ormai oltre 150mila famiglie, che la spesa non alimentare dei sardi s'è ridotta di due terzi e quella alimentare di un buon 20 per cento, ecc.

Appare quindi evidente che le priorità avrebbero dovuto (e dovrebbero) essere ben differenti e che la Sardegna non debba fare a meno d'un suo piano straordinario d'interventi che punti sulla rapida ripresa delle attività produttive, ad iniziare da un deciso incremento degli investimenti in opere ed infrastrutture pubbliche e da una contemporanea azione di promozione e sostegno all'imprenditoria privata. Non basta rivendicare l'Alta Velocità ferroviaria - lo si cita per esemplificare - se non si ha però un progetto concreto di come vada ridisegnata una rete ferroviaria che è rimasta quella dei nostri trisnonni, al di fuori, quindi, per inadeguatezza delle strutture e dei percorsi, delle nuove pendolarità interne e delle mutazioni dei punti d'accesso all'isola avvenute con l'introduzione del trasporto aereo. Altrettanto si potrebbe aggiungere per altri temi caldi di cui l'isola è afflitta per via di diverse storiche diseconomie ed altrettante distonie: e questo avviene in settori strategici come l'energetico, l'alimentare, i trasporti interni, ecc. Purtroppo da troppo tempo la Sardegna non ha più una sua politica economica, nel senso - chiarisco - che manca una ragionata scelta di campo su quali settori dover puntare, su quali obiettivi indirizzare le proprie risorse, su come meglio utilizzare il proprio territorio. Si va avanti così alla carlona, con azioni le più disparate, talvolta illogiche e molto spesso fuori tempo, comunque ininfluenti alla ripresa economica, anche perché troppo spesso orientate alla spesa più che all'investimento.

PAOLO FADDA

STORICO E SCRITTORE
© Riproduzione riservata