U n bel ritratto di Cagliari lo ha dipinto - a parole - lo scrittore sassarese Alberto Capitta il quale, dieci anni fa, inaugurò un'iniziativa editoriale finanziata dal Thotel per offrire alla nostra città quindici nuovi racconti d'autore.

Il protagonista della sua novella è un bambino che sogna di visitare Cagliari, almeno quanto un cagliaritano sogna di volare a New York. È impaziente. È avido della bellezza che nel capoluogo lo attende. A sua madre chiede, domanda. E, mentre lei racconta, il piccolo ascolta in silenzio.

«Lei mi parlava di questo, mi parlava di un castello, di torri fiabesche, di un palazzo Viceregio (…) In quegli istanti l'intera cucina si riempiva di stupore, le acque scorrevano più lente lungo i muri e anche il mio cuore faceva piano per non disturbare».

Quanta dolcezza e quanto incanto in quelle parole scelte con cura, per evocare.

«Camminare per Cagliari con mia madre mi sembrava impossibile e continuavo a ripetermelo: cammino per Cagliari con mia madre. Il primo giorno andammo per scale e salite. L'aria era di un bellissimo nuvoloso grigio. Salite e scale e ancora salite che non finivano mai. (…) Arrivammo a destinazione infine. Eccoci, è buon cammino, questo, mi disse. Buoncammino, il nome mi risonò tra gli anfratti come una palla. Un bianco, enorme, sconfinato edificio dominava la piazza. Prigionia e privazioni dominavano sull'idea degli orizzonti. Entrammo per una porticina e vidi mio padre, accompagnato dalle guardie. Mia madre aveva con sé un fagotto profumato di ferro da stiro e cioccolato».

Otto piccole pagine. Poche parole, ma giuste.

Con precisione da poeta, Alberto Capitta dipinse la Cagliari sognata da un bambino: nonostante quella città tenesse un padre prigioniero in un carcere molto duro e severo: con le finestre a bocca di lupo, per impedire ai condannati la vista del cielo.
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