Quando, il 10 agosto dell'anno 2000, Daniel Harding salì per la prima volta sul podio del Teatro Lirico di Cagliari, aveva appena 24 anni. Alla conferenza stampa - che si tenne nel foyer del teatro la mattina stessa del concerto - i giornalisti si trovarono davanti a un ragazzo minuto, un po' emaciato e pallido. Era lui quel fenomeno di cui tutti parlavano? Era lui che Sir Simon Rattle aveva scelto come pupillo? Era lui quel giovanotto che, appena ventenne, divenne assistente di Claudio Abbado?

Un uomo grosso, corpulento - forse il suo agente - mostrò a Daniel Harding la piena pagina che questo giornale gli dedicò. Il giovane maestro la guardò distrattamente e, soddisfatto, annuì: stringendo un po' le labbra, senza mostrare stupore. Ricevere piena attenzione era, per lui, un fatto normale. Soprattutto in un teatro di provincia dal momento che Harding già si esibiva regolarmente alla guida delle più prestigiose orchestre del mondo.

Faceva un caldo infernale in sala quando, alle 21.30, le luci del Teatro Lirico si spensero e il concerto poté finalmente cominciare.

L'orchestra Deutsche Kammerphilharmonie di Brema prese posto e subito dopo entrò lui: Daniel Harding, uno scricciolo in frac. Fin dalle prime note dell'Ouverture Leonore II la sua grinta e la sua gigantesca forza interiore lasciarono tutti di stucco. Un Beethoven a perdifiato, cui seguirono il Concerto per violino, archi e continuo di Bach (interpretato da Christian Tetzlaff) e la Sinfonia Renana di Schumann.

Alla fine Daniel Harding grondava letteralmente di sudore. Una direzione appassionatissima la sua. “Teatrale” - osservò qualcuno in sala. “Sembra un ballerino” chiosò qualcun altro.

Fu un grande concerto? Con tutta l'obiettività necessaria è difficile stabilirlo. Di certo fu una serata strabiliante che, però - come spesso capita con i successi annunciati - lasciò l'amaro in bocca a coloro che si aspettavano la perfezione.
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