I l web, grazie soprattutto ai social, sta diventando una sorta di gogna del XXI secolo. Garantisce, infatti, quel senso di impunità che tira fuori da ognuno il peggio tanto da diventare uno spazio in cui alimentare facilmente il cosiddetto “odio in Rete” (hate speech). Questa espressione si riferisce a parole, immagini, meme, video, commenti o post violenti che vengono usati per ferire persone oppure per attaccare interi gruppi sociali. È una forma di odio che si diffonde esprimendo giudizi generalizzati, spargendo voci su persone o gruppi sociali in base a stereotipi, insultando.

O ppure diffamando o minacciando gli obbiettivi dell’odio a causa della loro nascita, della loro cultura, del colore della sua pelle, della religione od anche per il loro orientamento sessuale, se mon semplicemente per il loro aspetto o i loro gusti. A favorire l’odio in Rete è spesso l’anonimato. Senza vedere l'altra persona, la soglia di inibizione nel lanciare insulti si abbassa, così come la paura delle conseguenze dei propri atti. Molto spesso, infatti, gli haters nella vita reale non si comportano come su Internet. Ci sono inoltre alcuni luoghi in Rete che non sono moderati o non lo sono abbastanza. Questo rafforza la sensazione di assenza di regole e i vari haters si incoraggiano a vicenda. L'odio sul web è anche sostenuto dal fatto che i commenti violenti e offensivi ottengono “like” e visibilità. Inoltre, quando si interagisce in Rete, è facile fraintendere le parole o usarle in modo frettoloso e superficiale, dimenticando quanto anche una singolo termine sia in grado di offendere, se non addirittura escludere o discriminare.

Viene prima di tutto da chiedersi perché, a livello istituzionale, si faccia ancora così poco per contrastare certe forme di cyberbullismo. Ci si affida a campagne di sensibilizzazione, che sono comunque un’ottima cosa, ma che per ora non stanno frenando la diffusione del fenomeno. Si concedono invece ancora troppe poche risorse alla Polizia postale che finora si è rivelato l’unico strumento efficace per contrastare questi fenomeni. All’azione delle forze dell’ordine bisogna però aggiungere nuovi strumenti legislativi perché per ora è mancata quasi del tutto una regolamentazione della Rete, in nome dell’assurda idea che il web debba essere libero da qualsiasi tipo di vincoli e che ogni limitazione sia censura.

In attesa che si muovano le istituzioni vale la pena fare tutti la nostra parte: quando utilizziamo i social network, ogni parola va scelta con cura, per comunicare idee, opinioni, sentimenti o stati d’animo nel migliore dei modi, senza arrecare danno a nessuno. Bisogna quindi affidarsi alla netiquette, dall’inglese network (“rete”) e dal francese étiquette (“buona educazione”) che indica un insieme di principi informali che regolano il buon comportamento di un utente su internet. In italiano potremmo quindi tradurre come “galateo della rete”. Un galateo che prevede attenzione a quello che si scrive e a come lo si scrive. Se vogliamo non essere fraintesi meglio rileggere sempre quello che digitiamo. Meglio poi evitare l’uso del maiuscolo, che su Internet equivale ad urlare. Una cosa da non fare è rilanciare post ed e-mail a catena senza aver letto con attenzione il contenuto. Mai diffondere dati personali e informazioni private tue o di altri utenti: potresti mettere a rischio te o gli altri. Meglio sempre chiedere il permesso prima di taggare amici e parenti sui social network e in generale non pubblicare immagini che potrebbero urtare la sensibilità altrui. Cosa fondamentale è essere i primi ad evitare toni offensivi o maleducati. Soprattutto non deridere o emarginare un utente co n una cultura, un credo o un’opinione diversa dalla tua. Infine, è fondamentale non comportarsi da troll, cioè non fomentare polemiche e litigi al solo scopo di divertirsi alle spalle altrui. Ricordiamoci soprattutto che nel web tutto è virtuale tranne la sofferenza di chi è vittima degli hate speech.

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