"Quello che ho vissuto in questi ultimi mesi è più di un film".

A parlare ai microfoni di Sky Tg24è Mattia Maestri, i paziente 1 d'Italia, o meglio il primo ad essere diagnosticato positivo al nuovo coronavirus, il 20 febbraio scorso all'ospedale di Codogno.

Ed è difficile dargli torto, gli è successo di tutto: la malattia e la guarigione, settimane in terapia intensiva, il papà morto per Covid, la mamma e la moglie incinta ammalate anche loro, si sono riprese. E la nascita della figlia Giulia, a cui è riuscito ad assistere perché si è ripreso in tempo.

Gran parte del tempo vissuta senza rendersi conto di quanto stesse accadendo. "Solo quando mi sono svegliato mi hanno raccontato del virus che c'era in giro, cosa stava succedendo e neppure nel dettaglio. Solo dopo ho capito la gravità di quello che stava accadendo intorno a me. Ho scoperto di essere il paziente 1 solo quando mi sono ripreso e ho preso in mano il mio smartphone. Non mi pesa la cosa, so di essere solo il paziente che è stato certificato per primo".

Il 38enne era convinto di avere una polmonite, e dopo una visita al Pronto soccorso fu curato a casa, come avviene praticamente sempre con pazienti giovani. "Nonostante l'antibiotico la febbre aumentava e mi sono ripresentato al pronto soccorso. Da lì in poi la febbre è cresciuta ancora fino a quando sono stato portato in terapia intensiva. Poi Annalisa Malara, anestesista dell'ospedale di Codogno, forzando i protocolli, ha fatto il tampone per il nuovo coronavirus e portato alla luce il primo caso in Italia.

Sorride Mattia, se pensa a un episodio capitato durante il suo secondo ricovero, quando quella polmonite di origine ignota proprio non gli passava: "Chiedo a un operatore sanitario se potesse essere un caso di coronavirus e in dialetto lui mi risponde 'il coronavirus Cudogn 'ensa nianche addu sta'' (il coronavirus non sa neanche dove sia di casa Codogno)".

Si sente "fortunato" Mattia. "Ho pensato molto dove possa aver preso il virus ma non ho la benché minima idea di dove possa essere accaduto. Sia io che mia moglie nelle nostre ricostruzioni non siamo venuti a capo di un possibile punto d'inizio, e il mio amico tornato dalla Cina non c'entra nulla".

"Quando racconterò questa storia a mia figlia Giulia ricordero innanzitutto il dottor Bruno, il mio nuovo papà. Ho perso il mio per questa malattia, ma Bruno che mi ha salvato lo considero come un padre. E poi la dottoressa Malara, è stato grazie al suo intuito e al suo coraggio che è stato scoperto il coronavirus".

(Unioneonline/L)
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