Il 9 maggio del 1978 il corpo del leader democristiano Aldo Moro viene fatto ritrovare nel bagagliaio di una Renault in via Caetani a Roma, a metà strada tra Piazza del Gesù – sede della Dc – e via delle Botteghe Oscure, sede del Pci: i due partiti del compromesso storico che le Br avevano deciso di combattere imbracciando il mitra.

Moro aveva il vestito grigio a righe e la cravatta che indossava il giorno del suo rapimento in via Fani, dove i cinque uomini della sua scorta morirono crivellati dai colpi delle mitragliette Skorpion.

Il ritrovamento del corpo nella Renault parcheggiata in via Caetani (foto Wikipedia)
Il ritrovamento del corpo nella Renault parcheggiata in via Caetani (foto Wikipedia)

Il ritrovamento del corpo nella Renault parcheggiata in via Caetani (foto Wikipedia)

Il segretario della Democrazia Cristiana era stato rapito 55 giorni prima, il 16 marzo, dal commando della Brigate Rosse. Era a bordo di una Fiat 130 e si stava recando alla Camera dei  Deputati, dove era previsto il voto di fiducia per la nascita del quarto governo Andreotti, primo della storia repubblicana con il Partito comunista all'interno della maggioranza. 

Il presidente della Repubblica Antonio Segni con Aldo Moro (Ansa)
Il presidente della Repubblica Antonio Segni con Aldo Moro (Ansa)
Il presidente della Repubblica Antonio Segni con Aldo Moro (Ansa)

All’altezza di via Fani, i terroristi – armati fino ai denti – spararono, uccidendo gli uomini della scorta: i carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci, e gli agenti di Polizia Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino. Poi prelevarono il politico di Maglie.

Seguirono 55 giorni drammatici durante i quali il leader della Dc fu sottoposto a una sorta di "processo".  Dopo estenuanti trattative e dopo che i partiti politici non riuscirono a trovare una strategia efficace e condivisa per ottenerne la liberazione, le Br decisero di giustiziare l'onorevole, sconvolgendo l'opinione pubblica e mettendo a dura prova la tenuta delle istituzioni come mai, forse, nel Dopoguerra.

Enrico Berlinguer e Aldo Moro (Ansa)
Enrico Berlinguer e Aldo Moro (Ansa)
Enrico Berlinguer e Aldo Moro (Ansa)

In quei 55 giorni nella Capitale era stata fermata un'automobile ogni dieci, e una persona ogni venti era stata controllata, senza mai arrivare a nulla. Alle 12.30 di quella mattina con poco sole, il telefono squillò a casa del professor Francesco Tritto, un assistente universitario di Aldo Moro. «Pronto, chi parla?». «Sono il dottor Nicolai» rispose una voce giovane. Ma a chiamare era il brigatista rosso Valerio Morucci, 29 anni, uno dei cervelli dell'operazione: «Lei deve comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell'onorevole Aldo Moro in via Caetani. Lì c'è una R4 rossa. I primi numeri di targa sono N5».

Da tre giorni il Paese intero aspettava quel tragico epilogo: il lugubre comunicato numero nove diffuso dalle Br il 6 maggio aveva annunciato seccamente l'imminente morte del presidente della Dc: «Concludiamo la battaglia, eseguendo la sentenza a cui Moro è stato condannato». Ormai nessuno credeva più alla possibilità di rivedere Moro vivo. Il Vaticano aveva segretamente raccolto una grande cifra per pagare un eventuale riscatto. Il presidente della Repubblica Giovanni Leone aveva sul tavolo le carte per concedere la grazia a un terrorista che non si era macchiato di crimini di sangue. Ma il governo presieduto da Giulio Andreotti e sostenuto dal Pci non voleva cedere ai terroristi. E così la sentenza fu eseguita.

Dal 2008, in ricordo del brutale assassinio, il 9 maggio di ogni anno vengono ricordate, assieme a Moro, tutte le vittime cadute per mano del terrorismo in Italia.

(Unioneonline)

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