La prigione è «una pena corporale», organizzata «come se volesse farci dimenticare che abbiamo un corpo».

Tomaso Cocco, ex primario del reparto di Terapia del dolore del Binaghi, arrestato lo scorso settembre nell’inchiesta Monte Nuovo e tornato recentemente in libertà dopo quasi cinque mesi in prigione e uno ai domiciliari, su Facebook ha parlato della sua drammatica esperienza di detenzione in carcere.

«La prigione è anzitutto una pena corporale, non è un semplice divieto posto alla libertà di circolare, come si è provato a dimostrare fin qui. Pena corporale perché il suo scopo è quello di spezzare la personalità, in questo non facendo che seguire con altri mezzi il cammino segnato dalla tortura», scrive il medico, che ha passato un periodo a Uta e poi è stato trasferito nel carcere di Palermo.

La reclusione, continua, «è organizzata come se volesse farci dimenticare che abbiamo un corpo. Il corpo reso muto è un corpo da dimenticare. Il corpo ignorato smette però di reagire come un animale domestico. E l'animale in gabbia rivela - anche se sembrava domestico - caratteristiche fino ad allora poco conosciute».

Cocco parla del dolore fisico provato nel periodo di detenzione. E conclude: «La prima scoperta da farsi è che il corpo ignorato non produce vuoto ma dolore: dolore fisico. Il dolore è una reazione all'ignoranza del corpo, serve a ricordarci che siamo un corpo. È l'aspetto assunto dal senso della realtà, criterio di verità che prova ad ancorare la mente al mondo, dicendoci che ne siamo parte. È la parola dei muti ai quali non è consentito il gesto».

(Unioneonline)

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