Non se l’aspettavano. Il blitz è stato fulmineo e senza appello. Quando l’auto d’ordinanza ha varcato il cancello di Serra Scirieddus, sulla cima del Monte Onixeddu, tra Carbonia e Gonnesa, il gelo è calato nella discarica dei veleni. I carabinieri del Noe, Nucleo operativo ecologico, non sono abituati ai convenevoli. La missione era di quelle delicate, verificare cosa realmente stesse accadendo in una delle aree più a rischio sul piano ambientale di uno dei territori più violentati dell’Isola. Le nove del mattino sono appena scoccate quando lunedì scorso il comandante del blitz dà il primo ordine: verifichiamo il funzionamento dei pozzi spia del sottotelo.

Senza preamboli

Niente preamboli. Da accertare c’è se quella discarica riempita con ogni genere di veleni, stia inquinando o meno il sottosuolo, con conseguente disastro ambientale per tutte le falde acquifere a valle. Una vera e propria bomba piazzata nella parte più alta, verso Gonnesa, con lo sguardo proiettato verso la costa sud occidentale. La domanda dei Noe è una sorta di fucilata, per chi assiste alla scena. Il responsabile della discarica Riverso, società del gruppo napoletano di proprietà della famiglia Colucci, non è ancora sul posto, arriverà solo un’ora più tardi, quando gran parte del blitz ha già messo nero su bianco un primo verdetto.

Missione sottotelo

Il sottotelo è l’ultimo stadio di una discarica, quello che praticamente deve impedire che qualsiasi percolato raggiunga il sottosuolo. Praticamente per essere a regola d’arte quel cumulo di rifiuti deve essere messo in sicurezza con la costruzione di una vera e propria cintura di sicurezza sotterranea con un telo-guaina in grado di rendere impermeabile il fondo della discarica. Sotto quel telo, questo prevede la norma, devono essere realizzati dei pozzi spia, in grado di tenere sotto monitoraggio il sottosuolo. Per essere certi che la discarica non “perda” veleni bisogna fare verifiche costanti e continue del “sottotelo”.

Il mistero dei controlli

È evidente, quindi, che la domanda del Noe è una stilettata. Se per caso dovessero uscire dei liquidi da quei pozzi spia è evidente che la discarica si è con ogni probabilità “bucata” con tutte le nefaste conseguenze, a partire dalle falde idriche. Quando gli uomini dell’Arma ordinano la messa in funzione delle pompe non si sarebbero mai aspettati di trovarsi ad un primo misfatto. Le pompe di emungimento non sono posizionate sul fondo del sottotelo, ma sollevate di non meno di 6/7 metri rispetto al punto di verifica. Il cavo elettrico per farle calare sino in profondità era “nascosto” all’interno del pozzo. Un fatto che non solo ha fatto drizzare le antenne agli esperti del Noe, ma ha posto un primo interrogativo: quante volte fate i controlli del sottotelo? La risposta è farfugliata: una volta alla settimana. I Carabinieri non ci credono e non glielo mandano a dire.

Pozzi-spia

I pozzi spia sono tre, uno a monte, uno al centro e uno a valle della discarica. Si inizia con il numero tre, quella a valle. Fanno srotolare la pompa perché raggiunga la profondità. Il risultato è agghiacciante: escono liquidi nauseabondi in abbondanza, segno che sotto la discarica qualcosa di grave sta accadendo. Si spostano sul pozzo due. In questo caso la pompa non riesce a funzionare. Si blocca, pare, 4 metri prima del fondo. In realtà in quel punto vi sarebbe un’ostruzione legata ad un raccordo di un tubo nel sottosuolo su cui la pompa si aggancia impedendo di raggiungere il fondale. Il nucleo operativo scrive tutto, senza tralasciare dettagli.

La prova dei liquidi

Il riscontro del pozzo tre, per il suo posizionamento, è più che sufficiente per prelevare i “liquidi” fuorusciti e spedirli alle analisi di laboratorio. Lo scambio di battute tra i responsabili giunti in cantiere è sintetizzabile con un epitaffio per la discarica: da lì sotto non deve uscire niente. E, invece, il liquido esce copioso. In realtà, però, il vero nodo, quello più rilevante è proprio il pozzo-spia numero due, quello posizionato al centro della discarica, di fatto il punto del cumulo di rifiuti tossici che subisce il maggior carico e pressione, tale da poter lacerare e quindi “potenzialmente” sfondare il telo di sottofondo.

Quattro ore di controlli

Gli uomini del Nucleo lasceranno la discarica dopo 4 ore di controlli, con verbali e campioni prelevati. Dovranno fare riscontri, a partire dai livelli di progetto per capire le reali profondità del sottotelo, in particolar modo per il pozzo-spia numero due. C’è da esaminare in ogni dettaglio il motivo di quei cavi arrotolati e nascosti dentro i pozzi, come se i controlli siano sempre stati fatti con le pompe di eduzione sospese nel vuoto senza mai raggiungere realmente il livello del sottotelo, aspirando di fatto aria, anzichè liquami. Se questo verrà confermato è evidente che si tratterebbe di un fatto di una gravità inaudita. I Carabinieri, però, prima di andar via non si lasciano sfuggire lo stato dell’anello 5 della discarica. Secondo i ben informati, avrebbero rinvenuto sacchi di veleni, forse amianto, non chiusi e non coperti, in totale contrasto con le previsioni gestionali della discarica.

Le carte del blitz

Le carte del blitz, ora, sono al vaglio dei superiori e non è da escludere che della vicenda sia stata già informata la stessa Procura per i provvedimenti conseguenti vista la gravità della situazione. L’effetto del blitz, però, non si è fatto attendere. Di punto in bianco, già il giorno successivo, i responsabili della discarica avrebbero disposto l’immediata messa in funzione della pompa due con un ordine perentorio: pompare a più non posso ogni tipo di liquido che si trovasse sotto il telo sotterraneo della discarica. Operazione durata diverse ore, senza occhi indiscreti, apparentemente.

Il giorno dopo

Un’operazione da fare in fretta, per prevenire, probabilmente, ulteriori controlli. Il risultato è agghiacciante. Lo abbiamo monitorato in presa diretta, con immagini e video, scoprendo che ieri, per ore, la pompa di “sentina” era in funzione con la fuoruscita di veri e propri liquami di colore scurissimo. I tubi, come si vede dalle immagini, hanno riversato tutto in una sorta di catino per il lavaggio mezzi connesso alle vasche dei percolati, quelli che riguardano la superficie della discarica e il suo interno. Che la discarica fosse un pericolo gravissimo per il territorio lo avevamo scritto in un’inchiesta del nostro giornale su quel cumulo di veleni riportando un documento interno del servizio geologico dell’Arpas che aveva messo nero su bianco il pericolo. Egidia Bruna Melis era il funzionario geologo incaricato di mettere a nudo i rischi di quella discarica. La conclusione della relazione dell'Arpas colpiva nel segno proprio la gestione del sottosuolo: «Non si concorda nel ritenere che "il deflusso di tali acque attraverso l'orizzonte di sotto dreno della discarica non è in grado di alterare lo strato di argilla soprastante"». In pratica l’Arpas aveva smontato la tesi della Riverso secondo la quale niente sarebbe successo nel sottosuolo per via di quel compluvio idrico.

Sopra un mare d’acqua

E la relazione geologica era stata preveggente: «La discarica - scrive il dipartimento geologico dell'Arpas - risulta impostata in corrispondenza di una depressione valliva definita da due compluvi naturali passanti per i vertici nord est e sud est della discarica, e convergenti in una zona di impluvio, a valle della quale, a quota 140 metri, era cartografata la presenza di una piccola diga. La realizzazione della discarica ha modificato completamente la morfologia originaria del territorio». Come dire la discarica è stata realizzata sopra un mare d’acqua. Ora il blitz del Noe apre uno squarcio choc su quella collina dei veleni, sulla sua gestione e sui monitoraggi. La stagione delle piogge sta arrivando, le falde idriche, quelle che alimentano agricoltura e non solo, viaggiano nel sottosuolo, a diretto contatto con il “sottotelo” della discarica di Serra Scirieddus. Nella valle di Monte Onixeddu il disastro ambientale è dietro l’angolo.

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