«Non ho licenziato un sindacalista ma un dipendente. C'è una bella differenza». Anna Paola Randazzo ha sicuramente il senso dell'ironia. Cortese e feroce, guida l'Aias in una battaglia contro (quasi) tutti: "Penso solo al bene dei pazienti".

Cinquant'anni, neuropsichiatra infantile, due figli, è nell'ordine: 1) figlia di Bruno, fondatore dell'impero ed ex deputato Dc; 2) presidentessa dell'associazione italiana assistenza agli spastici da dieci anni; 3) la personificazione di un potere che non conosce crisi. Da mesi è nei titoli di giornali, tivù e siti internet per non aver pagato gli stipendi a 1.000 lavoratori in mezza Sardegna: "Spesso si dà un'immagine distorta dell'ente che rappresento".

Perché avete licenziato un altro sindacalista?

Si è macchiato di un comportamento grave: ha ingiuriato l'associazione e i vertici dell'azienda a mezzo stampa e sui social network.

Colpirne uno per educarne cento.

Non era il nostro intento. È normale che un datore di lavoro intervenga quando un dipendente supera la misura.

Alcuni fanno lo sciopero della fame: si sente in colpa?

Mi dispiace che siano arrivati a tanto. Una protesta di una decina di persone su 1.000 la rispetto ma non la condivido. Temo che siano stati strumentalizzati da qualcuno che aveva interesse a farlo.

Da chi e per cosa?

Da alcuni politici che fino ad oggi non si erano mai interessati ai problemi dell'Aias. Forse vogliono un po' di visibilità sulla pelle altrui.

Nel frattempo mettete in ferie d'ufficio chi digiuna per protesta.

A tutela dei dipendenti stessi e dei nostri pazienti. Secondo i nostri medici non possono garantire la prestazione lavorativa in condizioni ottimali. Un autista che deve guidare sei-otto ore con i pazienti può svolgere regolarmente il suo compito? Quando avranno concluso questa forma di protesta, se le loro condizioni psicofisiche lo permetteranno, potranno riprendere il servizio.

Le ferie d'ufficio sono una ritorsione?

Qualcuno l'ha detto, io la penso diversamente. Una parte delle ferie la decide il datore di lavoro, non mi sembra che siano stati fatti torti a chicchessìa.

Perché non pagate gli stipendi ai 1.240 dipendenti?

Abbiamo contratti firmati con l'Azienda per la tutela della salute e i Comuni che pagano con ritardi importanti, mediamente tra i sei e i dodici mesi.

Come si può sopravvivere nove mesi e mezzo senza lo stipendio?

Ogni mese tutti ricevono uno stipendio o parte di questo. A oggi l'arretrato si ferma a sei stipendi e mezzo.

Dicono che nei centri applichiate la legge del terrore: chi critica riceve un provvedimento disciplinare.

Una ventina di sanzioni all'anno sono decisamente poche rispetto al nostro organico.

Quelle contestate di recente erano molte di più.

Nel Sulcis siamo stati costretti perché alcuni dipendenti hanno rilasciato dichiarazioni mendaci per essere pagati indebitamente dall'Asl.

La Digos vi ha fatto togliere la telecamera puntata contro chi partecipava a un sit-in a Cagliari, in viale Poetto. Non era stata montata con l'obiettivo di identificare chi era lì ma perché - da voci raccolte in azienda e sui social - si temevano eventuali ritorsioni contro chi aveva intenzione di lavorare regolarmente nel centro e verso i pazienti che arrivavano per le terapie riabilitative.

La Regione sostiene che pretendete soldi non dovuti.

Abbiamo un credito di circa 35 milioni con le Asl e quasi cinque nei confronti dei Comuni. Queste prestazioni sono certificate, le fatture non sono state contestate. Purtroppo negli ultimi tempi siamo stati costretti a ricorrere a molti decreti ingiuntivi, che però hanno il difetto di richiedere tempi lunghi.

Linea dura a oltranza?

Tutt'altro. Abbiamo detto all'assessore alla Sanità Arru che siamo disponibili a rinunciare a parte dei crediti proprio per pagare tutti gli stipendi arretrati. Lui sembrerebbe propenso al dialogo e ci ha chiesto di moderare i rapporti con i sindacati.

Una parte dei beni dell'Aias è transitata nella Fondazione Randazzo?

Sì, alcuni immobili, per un motivo preciso: sono stati destinati alle attività per cui sono stati costruiti, cioè l'assistenza sanitaria ai cittadini della Sardegna. Più di vent'anni fa gran parte delle sezioni italiane ha scelto di creare associazioni locali cui intestare gli immobili per poter continuare la propria attività istituzionale nel caso in cui l'Aias nazionale avesse cessato la sua operatività.

Non c'è Giunta regionale che possa impensierirvi?

Abbiamo sempre lavorato con tutti perché da lì dipende la nostra attività.

Due fratelli Randazzo eletti contemporaneamente in Consiglio regionale: siete un partito?

Non siamo un partito, ma abbiamo la consapevolezza di essere un gruppo molto forte, la seconda azienda privata in Sardegna per numero di dipendenti.

Il potere non vi ha logorato.

Non è potere ma responsabilità nei confronti dei pazienti. La nostra forza sono loro e la capacità organizzativa.

Avete investito soldi dell'Aias in altre attività?

No.

Il rifornitore di benzina?

Era della mia famiglia da oltre quarant'anni, da dieci è affidato in gestione a un terzo.

È normale che del comitato spontaneo dei lavoratori facciano parte i direttori dei centri?

Su 1.000 dipendenti solo duecento sono iscritti al sindacato. La maggioranza si fida dell'associazione, forse non sente di aver bisogno di protezione.

Nessun imbarazzo?

No, anche perché non ritengo che il comitato si possa equiparare a un sindacato. Che ne facciano parte anche alcuni direttori è normale.

Quanto spendete in avvocati?

Molto, nostro malgrado: dobbiamo difenderci da tante ingiustizie.

Più d'uno sostiene che i legali siano la vostra cavalleria per mettere in ginocchio chi non si piega.

I dipendenti hanno tutte le libertà previste dalla legge, interveniamo solo quando si supera il limite.

Vi accusano di aver costruito un sistema di potere sulla sofferenza altrui.

Mai portati pazienti in piazza o incentivato il loro malessere. Comunque se avessimo tutta questa influenza probabilmente non ci troveremmo in questa situazione.

Avete detto: «Se la Regione non salda i debiti rimandiamo i pazienti a casa». Più minacciosi di così.

«Dobbiamo attenerci al numero di prestazioni che la Regione ci assegna. Oltre quelle non possiamo andare».

La sede di Decimomannu è stata un lager per anni. Possibile che non vi siate accorti di nulla?

Decimomannu non è mai stato un lager e mai lo sarà. Purtroppo è vero che alcuni dipendenti si sono macchiati di atti vergognosi verso i nostri pazienti e che sono sfuggiti al nostro controllo perché posti in essere in orari difficilmente controllabili.

Lei è sotto inchiesta per minacce ai dipendenti-testimoni.

Ho ricevuto un avviso di garanzia per alcune sanzioni disciplinari fatte alle persone che sapevano dei maltrattamenti e non ci avevano detto nulla, sebbene avessero l'obbligo contrattuale di informarci. La Procura ha ritenuto che equivalessero a minacce ai testimoni, affronterò con serenità anche questo.

Lei ha detto: «Chi ha denunciato non è un'eroina». Pentita?

La mia frase è stata male interpretata e mi dispiace. Non volevo dire che la dipendente ha sbagliato ad andare all'ispettorato del lavoro e alla Procura, ma che contestualmente o subito dopo ogni dipendente, come prevede il contratto nazionale, ha il dovere di informare l'azienda a tutela dei pazienti.
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