Il caro-voli e la (dis-) continuità territoriale, come pure la necessità di garantire tariffe agevolate, continuano a costituire temi caldi di questa lunga estate, e non hanno mancato di suscitare interesse di vario tenore in merito alle possibili soluzioni percorribili.

Nonostante l’alternarsi di varie legislature regionali, quando più quando meno, il problema parrebbe continuare a persistere creando non poco disagio non solo ai residenti, ma pure a quanti volessero trascorrere un periodo di vacanza sull’Isola. Gli interrogativi sembrerebbero tanti, ma le risposte non appaiono altrettanto e direttamente conseguenti se solo si considerano i diversi piani di intervento che sarebbe di fatto necessario innescare.

Perché per la Sardegna parrebbe non riuscirsi a rinvenire una formula coerente e vantaggiosa utile a garantire la tanto desiderata continuità territoriale in entrata e in uscita? Non sarebbe davvero percorribile la via della compensazione finanziaria con un regime, per così dire, a costo zero per la regione Sardegna?

Intendiamoci: non si vuole ricercare un trattamento di favore, ma si vorrebbe solo ed unicamente poter disporre di una normativa “specifica” capace di riflettersi positivamente nella composizione di un disagio di origine geografica che non potrebbe diversamente risolversi nella assenza di interventi mirati “ad regionem” discussi e concertati, innanzitutto, e probabilmente, con il Governo Centrale. Del resto, non si può non considerare che con la pronuncia distinta al numero 6 dell’anno 2019, essendone stata specificatamente richiesta nel contesto di una decisione inerente l’argomento in discussione sulla legittimità o meno di un certo articolo di legge (articolo 1, comma 851, della legge n. 205 del 2017), la Corte Costituzionale ha chiarito che debbano essere assicurate “risorse congrue” al fine di consentire alla Regione Autonoma della Sardegna una serena programmazione” anche sullo specifico punto.

Dicendolo altrimenti, se è vero, come parrebbe essere vero, che per continuità territoriale debba intendersi la capacità di garantire un servizio di trasporto (aereo o navale) che non pregiudichi i cittadini residenti in territori meno “fortunati”, parimenti, parrebbe risultare altrettanto vero, che siffatta previsione debba necessariamente e doverosamente inserirsi all’interno di un contesto di carattere generale idoneo a garantire, assicurandola, l’uguaglianza sostanziale tra cittadini, siano essi nazionali siano essi europei, oltre che quella imprescindibile aspettativa (e non solo aspettativa) di “coesione” tanto sul piano economico quanto su quello sociale. E il Governo Centrale dovrebbe essere sollecito, per quanto di ragione e di competenza tenendo conto financo del ruolo dell’unione Europea, nel garantire un servizio effettivo a costi ragionevoli, specie nel periodo di difficoltà economica che si sta affrontando. Tanto più allorquando, il trasporto, tecnicamente inteso, e per essere precisi, possa e debba configurarsi, nella sua triplice valenza, sia alla stregua di un’attività di tipo economico “strictu sensu”, sia come meccanismo e strumento finalisticamente orientato a fondare il cosiddetto “diritto alla mobilità” previsto dallo articolo 16 della nostra Carta Costituzionale, sia come servizio di interesse economico generale e, pertanto e per ciò stesso, tale da dover essere garantito a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro collocazione geografica. A significare che nella valutazione delle varie circostanze, la questione economica, lungi dal prevalere sulle restanti due, deve invece seguire alle stesse nella sua funzione unica di mezzo efficiente per assicurare e garantire le esigenze primarie ed imprescindibili di “mobilità” e di “servizio” a fruizione generale. E allora: non si potrebbe ricorrere a trecentosessanta gradi al meccanismo finanziario della “compensazione” del cosiddetto disavanzo economico che una certa impresa di trasporto, a condizioni di parità con le altre interessate, è chiamata a sostenere nell’assicurare il servizio?

I riflessi pregiudizievoli derivanti dallo svantaggio geografico dovrebbero essere primariamente ed indiscutibilmente ridotti grandemente, fino al loro completo annullamento, in primis, e probabilmente dal Governo di Roma, dal momento che la coesione territoriale rappresenta il primo ed innegabile obiettivo di una amministrazione che voglia qualificarsi in termini di efficienza. Quale potrebbe mai essere, altrimenti, la formula risolutoria per una regione, quale quella Sarda, che rispetto alla Penisola, e quindi al complesso continentale nella sua interezza, risulti territorialmente altrimenti dislocata? Se è vero, come pare essere vero, che la condizione di insularità è nuovamente riconosciuta sul piano costituzionale, allora, a quella specifica “qualità”, avrebbe dovuto conseguire, nell’immediato, una rimodulazione sul piano economico delle minime risorse utili da destinare alla continuità territoriale senza incorrere nel divieto dei cosiddetti aiuti di stato (per farla breve e per dirlo semplicemente: il compenso offerto alle Imprese di trasporto, non può in alcun modo eccedere il disavanzo riferibile al servizio prestato e non deve configurarsi alla stregua di un non meglio precisato sussidio all’impresa di riferimento).

D’altra parte, l’articolo 174 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, come da più parti costantemente ricordato, rappresenta ancora oggi l’ineludibile faro delle politiche europee di cosiddetta coesione, per cui se l’Unione Europea intende perseguire l’obiettivo della riduzione del divario tra i molteplici margini differenziali delle regioni attraverso il rafforzamento delle politiche di coesione, allora, e conseguentemente, quella stessa Unione Europea, non può in alcun modo sottrarsi all’onere, su di essa incombente, di offrire la massima considerazione a quelle realtà regionali che si caratterizzino per i loro permanenti svantaggi naturali geografici, ovverosia alle Isole, tra le quali, la Sardegna, appare senza dubbio quella maggiormente bisognosa di intervento.

Lo stesso regolamento comunitario CEE n. 2408/1992, espressosi in materia di liberalizzazione dei servizi di trasporto aereo, consente agli Stati Membri, la possibilità di adottare oneri di servizio pubblico in presenza di determinate condizioni, quali quelle che paiono caratterizzare l’Isola Sarda. Occorre attivarsi sul piano regionale statale e comunitario per ottenere una regolamentazione definitiva.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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