La telefonata che gli ha regalato una seconda vita è arrivata alle 19,25 del 4 novembre. Roberto Julini, 58 anni, era seduto sul divano, sofferente, mentre sua moglie Paola Lepori era in cucina a preparare la cena. È stata lei ad alzare la cornetta e a sentire le parole della speranza: «Probabilmente c'è un cuore compatibile per suo marito». E dopo poche ore quell'organo ha cominciato a battere nel corpo di Roberto che si lasciava alle spalle anni di sofferenza e una lunga via crucis di ricoveri e interventi.

«Il 2018 mi ha regalato un cuore. È stato un miracolo e sarà un anno che non dimenticherò mai. Per il 2019 spero che tutto continui ad andare bene e che ci siano sempre più persone che possano tornare alla vita com'è successo a me».

Seduto nel salone della sua casa in via Sant'Antonio, con a fianco la moglie Paola e la fedele beagle Luna che non lo lascia un attimo, Roberto Julini ha ancora la mascherina sulla bocca ma è un uomo nuovo.

«Ho cominciato a stare male nel 2001», racconta, «non avevo mai avuto nessun sintomo, tanto che con i miei colleghi di lavoro facevamo a gara a chi timbrava prima il cartellino, correndo per 4 rampe di scale». All'improvviso però quelle rampe diventano più pesanti: «Dopo cinque gradini avevo il fiatone, mi sentivo stanchissimo, così sono andato dal medico. Credevano fosse un' influenza ma io continuavo a peggiorare, non riuscivo a reggermi in piedi».

All'ospedale arriva in arresto cardiaco ed è qui che gli viene diagnosticata una cardiomiopatia dilatativa: il cuore si ingrossa sempre di più. «Nel 2001 ero stato messo in pre lista per un trapianto», dice ancora Julini, «ma nel frattempo ero stato inserito in un circuito sperimentale e diciamo che fino al 2008 sembravo un po' migliorato. I problemi sono ricominciati da allora con un ricovero d'urgenza e una serie di problemi alla vista che per fortuna si è riusciti a curare».

Nel 2015 arriva un nuovo arresto cardiaco e la situazione precipita. I medici tentano di praticare un'ablazione per evitare la necrosi dei tessuti periferici del cuore, ma anche questa non dà gli esiti sperati. Nel frattempo gli inseriscono anche un defibrillatore. «Nel 2016 ho raggiunto il periodo più brutto della mia vita. Dormivo sul tavolo di cucina per cercare di respirare perché avevo i polmoni pieni d'acqua». Dalla pre lista Julini passa alla vera lista d'attesa per un cuore nuovo. «Ci sono state quattro chiamate», interviene la moglie Paola ,«ma alla fine purtroppo l'organo era stato deviato per precedenza a livello nazionale e uno era risultato troppo vecchio. Abbiamo aspettato e sperato fino a quando è arrivato il miracolo».

La telefonata dello scorso novembre è quella giusta: «Alle tre di notte ero in sala operatoria e poco dopo avevo un cuore nuovo che batteva dentro di me», ricorda commosso Julini, « non so chi sia il donatore, l'unica cosa che abbiamo scoperto è che era una donna e che probabilmente si trovava al Brotzu. Ci piacerebbe sapere chi è per poter portare un fiore sulla sua tomba, per poter dire alla sua famiglia che questo cuore è in buone mani e che avrà l'opportunità di una seconda vita».

A casa Julini è stato un Natale speciale: il primo senza ansia. «Quando senti battere dentro di te un cuore nuovo ti travolge una valanga di sentimenti», prosegue Julini, «anche un senso di colpa perché c'è sempre una persona morta per far vivere te. Poi subentra la gratitudine. Vogliamo dire grazie alla donatrice e a tutta l'equipe dell'ospedale Brotzu, fatta di persone fantastiche. Dal dottor Maurizio Porcu che mi ha seguito fin dall'inizio a tutti gli altri del reparto scompensi e trapianti: Marco Corda, Nadia Sanna, Daniele Pasqualucci e Pierpaolo Orrù. E grazie a loro che adesso ho una nuova vita».

Giorgia Daga

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