Nel Palazzo di vetro, quello dell’Eni che fu di Enrico Mattei, nel quartiere dell’esposizione mondiale che mai si fece, studiano la storia imperialista di Roma come fosse un dogma da tramandare. Prima traguardavano i deserti più lontani alla conquista di pozzi petroliferi da prosciugare, ora, sulle stesse mappe, pianificano nuove conquiste e inediti imperi, in questo caso eolici. Che in casa Eni la smania genetica fosse quella dell’espansionismo imperialista non c’era bisogno di acclararlo con il sigillo della storia, ma questa volta il “cane a sei zampe” ha scelto di declinare la sua nuova missione in terra “straniera” schierando il più fulgido vessillo delle conquiste imperialiste di Roma, Publio Cornelio Scipione, detto l’Africano. Se volevano usare il marchio di “Scipio” come messaggio in codice per far comprendere che non si fermeranno davanti a niente, pur di prendersi ciò che vogliono, questa volta sono stati più espliciti che mai.

Provincia dell’Impero

La “nuova provincia dell’Impero” da riportare a casa, dopo averla devastata in lungo e in largo, con inquinamento e bonifiche mai fatte, questa volta si chiama Sulcis Iglesiente. Per i Palazzi di Roma è sempre stata terra di piombo, zinco & carbone. L’Eni, l’ente di Stato per eccellenza, ne ha svuotato le viscere profonde, portando via galena e denari, lasciando devastazione sociale ed economica, territori in disfacimento e veleni sparsi qua e là. Così come se ne sono andati, alla coatta, ora ritornano. Lo sbarco questa volta è via mare, con il sotterfugio di società mandate in avanscoperta a sondare uffici e ministeri, capitanerie e “proconsoli” romani in terra sarda.

Malagrazia petrolifera

Lo avevamo preannunciato in una precedente inchiesta del nostro giornale, scorgendo le prime mosse di avvicinamento dell’Ente di Stato alla costa del Sulcis. Ora, però, con la malagrazia del sistema imperialista petrolifero, arriva la conferma, con tanto di nave offshore impegnata a bucare fondali, questa volta alla ricerca di punti stabili per ancorare grattacieli d’acciaio alti anche trecento metri, spacciati come galleggianti, da impiantare in quel tratto di mare che da Carloforte arriva sino a Cala Domestica. Hanno scelto il tratto più esclusivo, quello di Porto Flavia, della Laveria Lamarmora, delle Tonnare di Carloforte e Portoscuso, quello del Pan di Zucchero, delle spiagge bianche di Plagemesu e Fontanamare, le insenature esclusive di Porto Banda e Masua.

Le prove

Del resto, si sa, i petrolieri, quando si è trattato di Sardegna, non sono mai andati giù per il sottile, anzi. Questa volta i riscontri sono ancor più documentali: l’Eni sta marciando a pieni giri per realizzare davanti alle coste del Sulcis il primo “disastro” eolico offshore della Sardegna. Ora non si nasconde nemmeno più, dopo aver fatto propria la minuscola “Ichnusa Wind Power srl”, la società da dieci mila euro che aveva per prima azzardato la presentazione di quel piano di invasione eolica sulle coste sulcitane. Una compagine societaria, alle apparenze scalcagnata, che, però, sin da subito puntava al colpaccio: essere il primo front runner dell’eolico offshore in Sardegna. Un primato che gli è valso lo scacco matto nientemeno che dell’Eni che con una mossa “imperialista” ha comprato l’operazione per trasformarla in un attimo in un core business internazionale, quello del vento di mare. Si sa, però, l’Ente petrolifero ha esperienza più in piattaforme petrolifere in mezzo al mare, meno in pale eoliche galleggianti da piazzare tra rotte di tonni e spiagge incontaminate. Per questa ragione la compagine societaria si è allargata alla “Copenhagen Infrastructure Partners”, un colosso danese che già si occupa di aerogeneratori marini. Le mosse eoliche non si sono fatte attendere, a partire dal nome del nuovo business.

Da Ichnusa a “Scipio”

Sembrava troppo provinciale mantenere il nome di “Ichnusa wind power” tanto che l’Eni, senza pensarci su due volte, ha rotto gli indugi imponendo ai due parchi eolici, quello sardo e quello siciliano, tutti e due acquistati da società apparentemente da quattro soldi, i nomi più altisonanti dell’imperialismo romano: “Scipio”, detto l’Africano per i grattacieli sardi in mezzo al mare e “Hannibal” per quelli siciliani. Per formalizzare il cambio di nome e di strategia non hanno atteso nemmeno l’avvio della fase autorizzativa fondamentale, la Valutazione d’Impatto Ambientale. Nei giorni scorsi, con tanto di nave offshore “Rosso Ferrari”, si sono presentati al cospetto del porto del carbone, quello dei traghetti da Portovesme per “U Pàiže”, l’Isola di San Pietro, al secolo Carloforte. Una presenza che non poteva passare inosservata se è vero che quella torre di perforazione piazzata nel cuore della nave ha da subito fatto sorgere il sospetto che i signori del vento fossero ritornati all’attacco. Per farlo si sono rivolti al colosso delle imbarcazioni specializzate nelle introspezioni geomarine funzionali alle grandi operazioni in mare aperto: la “Next Geosolutions”, il braccio a mare per le invasioni delle famigerate energie rinnovabili offshore.

Nave offshore in porto

L’ordinanza della capitaneria di Portoscuso non lascia adito a dubbi: «autorizzazione ad eseguire tre carotaggi profondi per conto della Soc. “Next Geosolutions Europe S.p.A.”, nell’ambito del progetto “Scipio Floating Offshore Wind Farm”, nei fondali antistanti la spiaggia di Portovesme». La “Ng Driller”, battente bandiera di Napoli, la nave destinata alla missione sarda, da giorni non si muove dalla banchina del carbone come se l’avessero destinata esclusivamente al presidio di quello specchio acqueo. Un presidio attivo della nuova “provincia dell’Impero”, si potrebbe dire, se non ci fosse ancora da “scollinare” quel passaggio autorizzativo decisivo che magari l’Eni considera cosa fatta, ma che non sarà una passeggiata nemmeno per “l’Africano”.

Arroganza di Stato

L’insistere su questo progetto devastante per il mare del Sulcis è ostinazione “petrolifera” allo stato puro. Sarebbe bastato guardare i pareri di Comuni, Regione, associazioni di categoria e ambientaliste, per capire che non tira aria. È vero, il progetto ha superato la preventiva fase di “scoping”, quella in cui si devono individuare le possibili criticità da affrontare nella Valutazione di Impatto Ambientale, ma già in quella fase si sarebbe potuta e dovuta comprendere la più totale contrarietà delle “genti del luogo”. Invece, come niente fosse, con la nota tracotanza “imperialista”, l’Eni decide di forzare la mano e di arrivare alla resa dei conti con il Sulcis. Quella nave in porto è una sfida, una minaccia, si potrebbe dire, al quieto vivere della rotta dei tonni, alle vie di navigazione, un agguato all’orizzonte marino che sarebbe letteralmente devastato proprio da quelle 42 torri da piazzare in mezzo al mare in quel proscenio esclusivo. Basterebbe guardare gli algoritmi della visuale da terra per capire che da ogni angolo di quella costa la prospettiva sarebbe un colpo all’orizzonte e uno al cuore.

Sulcis e Costa Smeralda

Per i signori dell’Eni nessun problema, loro la mappa l’hanno già disegnata. La pubblichiamo integrale: “Scipio” nel Sulcis, 42 pale per 500 megawatt già progettato e due a largo di Olbia in fase di progettazione per la bellezza di 126 pale eoliche, proprio davanti alla Costa Smeralda. Come dire, le batterie cinesi in terra sarda non possono restare inutilizzate. Sardegna, dunque, “nuova colonia dell’Impero offshore”, il Sulcis e la Gallura “le nuove province”, quelle degli affari eolici a mare.

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