Non una casa qualsiasi. Quel casolare teatro della tragedia, dove lunedì hanno perso la vita i due adolescenti Patrick Zola e Ythan Romano, nasconde una storia che riporta agli anni del banditismo sardo. L’ultimo residente della casa si chiamava Nino Mereu, pastore di Santu Predu che giovanissimo venne coinvolto e condannato per la strage di Sa Ferula, un evento entrato nella storia del banditismo sardo. Una condanna che scontò a lungo, ma non completamente diventando un pentito, forse il primo nella storia del banditismo sardo.

Era settembre 1950 e nella strada che da Nuoro conduce ad Bitti, la statale 389, circa venti fuorilegge armati di mitra, dietro una curva, assaltarono un’auto dell’Ente Americano per la Lotta alla Malaria (Erlaas). Trasportava circa un milione e mezzo di lire: stipendio dei dipendenti della società. I banditi uccisero tre carabinieri e ferirono altri due uomini, l’autista e un altro militare, sparando contro l’auto di scorta.

Mereu, all’epoca un giovanissimo pastore nuorese, venne riconosciuto come uno dei banditi messi di vedetta dalla banda e per quella strage venne condannato. Lui ammise le sue colpe pentendosi e facendo il nome anche dei suoi complici, quasi tutti orgolesi, fra i quali i fratelli Pasquale e Pietro Tandeddu e il partigiano Luigi Podda, che si proclamò sempre innocente. Alla banda Tandeddu vennero attribuite in un anno 3 stragi quasi identiche come modalità: Monte Maore a Villagrande, Genna Silana a Urzulei e Sa Ferula a Nuoro.

Nino Mereu scontò parte della sua pena per poi tornare libero e passare il resto dell’esistenza a fare quello che aveva sempre fatto, il pastore. Decise di farlo nel terreno all’epoca ben lontano dalla città, che solo negli anni Ottanta con il boom del mattone iniziò ad avvicinarsi al suo casolare. Un eremita, con i suoi animali. Trent’anni vissuti nella casa, da scapolo, prima di morire. Una volta abbandonati dal suo abitante Tziu Mereu, nessuno dei tanti eredi volle occupare il terreno e il casolare. Pian piano il degrado ha fatto spazio all’incuria e ai primi crolli.

Alcuni eredi misero i blocchetti agli ingressi, e poi segnalarono alle autorità competenti gli accessi abusivi nel casolare. Mentre negli anni successivi parte del terreno venne espropriato per costruire quel viottolo che oggi conduce all’oratorio. Forse in quell’occasione si perse per sempre anche la recinzione che conduce al casolare dove quattro giorni fa sono morti i due ragazzi.

(f. le.)

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