Viaggio a Settimo San Pietro, il borgo del pane
Un'oasi di pace, con tre grandi aziende e la vibilità di un piccolo centro della provinciaSuperato il "tappo" della 554 (da decenni giace in qualche cassetto il progetto per sostituire il semaforo con una rotonda) si arriva in un attimo a Settimo San Pietro, cittadina dell'hinterland cagliaritano.
Un'oasi di pace. Tre grandi aziende (la Setrand che tratta rifiuti, la vitivinicola Ferruccio Deiana, il salumificio Su Sirbone) che danno lavoro a decine di persone e una zona artigianale ricca di piccole imprese.
Un posto vivacissimo ma con la vivibilità di un piccolo borgo di provincia, dove tutti si conoscono, si salutano, si rispettano.
L'amministrazione - Il giovane sindaco, Gigi Puddu, un passato da assicuratore e un presente da amministratore a tempo pieno, arriva alla casa comunale a piedi, accaldato per l'estate fuori stagione di questi giorni.
È l'inizio di una sorprendente passeggiata nel "paese del pane", alla scoperta di un'eccellenza alimentare.
L'antico mulino - In via Roma 31, dopo aver percorso una leggera salita, si apre uno spiazzo: è il mulino della famiglia Mascia, gestito da Mariano, che ha tenuto in vita un'attività nata nel 1940. Le attrezzature, in legno, cavi d'acciaio e nastri di tessuto, e le macine in pietra sono rimaste le stesse. Una rarità, meta di gite scolastiche e visite turistiche ("il prossimo passo è l'arrivo dei croceristi", racconta Mariano, adrenalinico mugnaio che a 60 anni conserva la vitalità di un ragazzino).
Le macine sono in funzione. Il grano arriva da Guasila, dove due giovani imprenditori, Antonello e Flavio Planta, non si sono arresi al declino dell'agricoltura.
Forniscono la materia prima al mulino Mascia, le semole vengono utilizzate nel "Borgo del Pane", la bella idea di amministratori illuminati.
Il Comune ha costruito quattro forni tradizionali a legna affidati a privati con una gara d'appalto. Filiera controllata a chilometro sottozero.
Risultato: un pane di straordinaria qualità.
Al naso leggeri sentori di affumicato, al palato il sapore deciso e delicato allo stesso tempo del lievito madre. Le donne del pane Annarita Fadda, 58 anni, dietro il bancone serve moddizzosu e biscotti con la confettura.
"Lavoro duro ma ricco di soddisfazioni", racconta. Una porta più in là, l'altro forno, quello di Lory Farci, 50 anni, che ha imparato a fare il pane dalla suocera. "L'85 per cento dei clienti viene dal circondario: Cagliari, Sinnai, Assemini...".
Con una scopa di "nebriatza" (un arbusto che cresce spontaneamente), pulisce il fondo del forno ancora caldo.
In montagna - Nel retrobottega Piero Cinus, 50 anni, di Burcei, il viso segnato dal sole e dalla fatica scarica le fascine di cisto, su murdegu, che servono per riscaldare i forni.
"Un lavoro massacrante. Sveglia alle 4.30, venti chilometri verso la montagna su strade abbandonate a se stesse, il tempo di accudire le capre e poi a raccogliere su murdegu".
Ogni santo giorno che Dio manda in terra. Piero alimenta una filiera virtuosa, una piccola industria del pane in un paese da imitare: 6.800 abitanti in costante crescita. Altro che spopolamento.
Non solo pane ma anche vino, con la Festa della Malvasia, la cui ottava edizione si è appena conclusa. Cittadina vivace, Settimo: scuola per l'infanzia (tanto per capirci a Quartu, settantamila abitanti, non c'è), elementari e medie, dibattiti e incontri a Casa Dessì.
E un bizzarro imprenditore, Luigi Corona, che alleva galline e coltiva Habanero, il peperoncino cubano tra i più piccanti del pianeta.