Da anni con i suoi articoli sul Corriere della Sera e con suoi libri denuncia il malaffare e le magagne che affliggono l'Italia.

Parliamo di Sergio Rizzo che torna ora nelle librerie con La Repubblica dei brocchi (Feltrinelli, 2016, Euro 17,00, pp. 272), saggio interessante e documentatissimo - ma dal retrogusto molto amaro - sul declino della classe dirigente italiana: una casta composta in gran parte da brocchi.

Personaggi che ritroviamo ai piani alti della politica, dell'imprenditoria, della finanza, dell'università e delle professioni e che si distinguono per la loro furbizia e la capacità di coltivare i loro interessi personali. Che spiccano per l'avidità e spesso per l’ignoranza.

Incapaci perché mediocri, a volte mediocrissimi ma assolutamente convinti di essere i migliori e di occupare determinate posizioni nevralgiche e, soprattutto, ben retribuite a pieno diritto, per nascita, appartenenza dinastica o grazia ricevuta.

Il prodotto di una classe dirigente di questo tipo è lo sfascio che caratterizza il nostro paese negli ultimi anni, un fallimento che Rizzo nel suo libro descrive in maniera impietosa raccontandoci una miriade di situazioni tra il tragico e il grottesco.

Si va dai concorsi pubblici che vengono dichiarati nulli quando a vincerli non è il figlio del raccomandato di turno ai mille cavilli, a cui i membri del nostro establishment - sindacalisti, prelati e giornalisti inclusi – fanno continuo ricorso pur di non rinunciare a privilegi e rendite di posizione.

Più che la denuncia dei singoli casi e del malessere generale che attanaglia oramai la società italiana, nel libro spiccano le conclusioni a cui arriva l'autore, forte della sua lunga esperienza a contatto con la palude del potere italico.

La prima è che oramai nel nostro paese le relazioni contano troppo di più delle competenze e della preparazione.

I rapporti - familiari, amicali e di clan - sono la chiave di accesso unica in troppi casi e questo perpetua la decadenza perché esclude ogni criterio meritocratico.

E, seconda e forse più importante riflessione, oramai ai vertici sì è perso il senso del pudore, la vergogna.

I nostri dirigenti non arrossiscono mai, si dicono "sereni" di fronte ogni tipo di sospetto e di accusa. Non arretrano mai, anzi danno sfoggio di arroganza e tracotanza che è poi la cifra distintiva dei mediocri.

Assomigliano, insomma, a quei protagonisti del Grande Fratello che ridono della loro ignoranza e si vantano per l’ennesima roboante flatulenza emessa en plein air.

Solo che non stanno in un reality e l’Italia sta affondando veramente.

Roberto Roveda

La copertina del libro
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