Mentre cala il sipario sugli scontri di piazza dei giorni scorsi, arriva dall'Iran una piccola storia di calcio che la dice lunga sul clima di tensione e repressione che ancora aleggia sulla gente, idoli sportivi compresi.

Masoud Shojaei può esser considerato tale, vista la sua carriera impeccabile, una settantina di partite in nazionale e pure una certa notorietà internazionale.

Ma la sua fama non è bastata a proteggerlo dalle ritorsioni del regime islamico e ora rischia di sbarrargli le porte del prossimo mondiale.

Ai vertici politici di Teheran non devono esser andate giù le sue frasi sulla corruzione nel calcio locale, l'invito ad aprire gli stadi anche alle donne, e soprattutto l'incidente della scorsa estate, quando da titolare della squadra greca del Panionios si è trovato a fronteggiare il Maccabi Tel Aviv: scendere in campo, però, equivaleva a riconoscere lo Stato di Israele.

Un dilemma politico più che calcistico, per lui e per il connazionale Hajisafi, che si poteva risolvere solo facendosi esonerare dalla partita, se non fosse che per il club greco c'era in gioco una qualificazione importante e non si poteva rinunciare a nessuno dei titolari.

Risultato? Da allora Shojaei non è più stato convocato in nazionale e ora rischia seriamente di perdere quel volo per la Russia, ufficialmente per questioni tecniche, perché se la Fifa conoscesse le motivazioni reali - politiche - potrebbe decidere di escludere la nazionale iraniana dai mondiali. Così, per il povero Shojaei, oltre al danno la beffa.

Per Teheran basterebbero delle scuse ufficiali, ma il calciatore non è tipo da abbassare la testa e chiede di avere indietro il posto che gli spetta in nazionale, forte dell'appoggio popolare, che lo considera un idolo sportivo con la prestanza fisica e il carisma giusti per guidare il gruppo iraniano alla prossima Coppa del Mondo in Russia.

(Unioneonline/b.m.)
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