Lunedì ha compiuto sessant'anni. Festa sobria, quella di Pietro Paolo Virdis. Mai una parola di troppo, l'impegno e il lavoro sul campo prima di tutto.

Umiltà tutta sarda: "Pur giocando a calcio", dice, "e, tra l'altro, in grandi club, non ho mai abusato della popolarità". Nato a Sassari e cresciuto a Sindia, dopo un anno di apprendistato alla Nuorese in Serie D, Virdis è stato promosso titolare in un Cagliari che in poco tempo (tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta del secolo scorso) si è fermato, sotto la guida di Mario Tiddia, a un centimetro da una storica qualificazione Uefa. Prima e dopo quella fantastica cavalcata, l'esperienza con la Juve, dopo l'iniziale gran rifiuto a Boniperti: "Devo però a Torino l'aver conosciuto mia moglie, che ho sposato quando avevo 23 anni". Virdis in carriera ha giocato anche nell'Udinese con Zico, nel grande Milan di Arrigo Sacchi, e nel Lecce di Zibì Boniek, parentesi chiusa con una retrocessione, unico neo di una carriera pazzesca: 365 presenze e 102 reti in Serie A, 15 presenze e 9 reti in Coppa dei Campioni, 11 presenze e 9 gol in Coppa Uefa.

Rigorista infallibile (in carriera ne ha realizzato 20, sbagliandone solo uno, in un Milan-Pisa del 29 gennaio 1989, e a pararglielo fu il sardo Gianpaolo Grudina), non ha mai giocato nella Nazionale maggiore. Per lui 8 partite e un gol con l'Under 21 e 15 presenze e 9 reti nella Nazionale Olimpica, con cui ha disputato i Giochi olimpici di Seul. Ha due figli: Matteo, 30 anni, specializzando in Chirurgia generale, e Benedetta, di 13, che l'anno prossimo frequenterà la terza media.

Dal 2003 gestisce a Milano, in via Piero della Francesca, un negozio-ristorante, 16 coperti, destinato agli intenditori del buon bere e del cibo di qualità. Il nome del locale, neppure a dirlo, richiama la sua fama: "Il gusto di Virdis".

Virdis nell'album di figurine
Virdis nell'album di figurine
Virdis nell'album di figurine

Si dice che lei sia un grande conoscitore di vini. Qual è, tra quelli sardi, il migliore?

"Più che un conoscitore, mi definirei un appassionato. I vini sardi sono cresciuti, anche in termini di appeal: ci sono molti piccoli produttori che immettono sul mercato bottiglie di grande qualità. Speriamo abbiano la forza di consociarsi per farsi conoscere. Il problema è, come sempre, uscire dall'Isola".

Sa che in Sardegna i meccanismi della continuità territoriale sono criticati?

"E a ragione. I costi di trasporto sono esagerati anche per gli emigrati, tutto il sistema va rimesso a posto. I politici sardi devono far sentire la loro voce".

I clienti del suo negozio sanno che lei ha giocato con Gullit, Van Basten e Zico?

"Ci sono le foto appese alle pareti. I nostri ospiti sono tifosi in generale che assaggiano e, di solito, tornano. Si sentono a casa: cucina mia moglie, io porto le pietanze ai tavoli".

Il campione con cui in campo s'intendeva meglio.

"Gigi Piras. Giocatore scaltro e furbo. I nostri movimenti si adattavano alla perfezione".

E l'allenatore determinante per la sua carriera?

"Era ottimo il rapporto con Mario Tiddia. Venivo da un'esperienza dura alla Juve: avevo perso la fiducia in me stesso. Mi ha ricostruito psicologicamente".

Con Gigi Piras e Franco Selvaggi formavate, a Cagliari, un tridente da favola.

"Nel 1980/1981, l'anno che sono rientrato in rossoblù, siamo arrivati sesti. Giocavamo con tre punte: Gigi Piras doveva sobbarcarsi un superlavoro per sopperire alle nostre mancanze in copertura. Fu una stagione straordinaria".

Vi sentite ancora?

"Con Gigi ogni tanto capita, con Franco è da parecchio che non ho contatti".

Lei avrebbe voluto sposare il Cagliari per sempre come Gigi Riva. Poi?

"Dopo la grande delusione degli spareggi del 1977, il mio sogno era restare per riportare il Cagliari in Serie A. Con l'Avvocato Agnelli non parlai mai. Al presidente Giampiero Boniperti dissi chiaro e tondo che volevo restare a Cagliari. Fu Mariano Delogu a dirmi che non c'era altra soluzione: la cassa della società rossoblù era vuota. Così andai".

A Cagliari resta nei ricordi dei tifosi come un grande calciatore.

"Mi fa piacere che la gente della mia terra provi affetto nei miei confronti per quel che ho dato alla causa rossoblù. Anche se da ragazzino tifavo per la Juve, sulla mia pelle ci sono solo due maglie: quelle di Cagliari e Milan".

Va allo stadio?

"Mai. Ormai il calcio lo seguo seduto in poltrona, alla Tv".

Ai rossoblù di Ranieri, che poi decretarono il ritorno in B del suo Lecce, segnò uno degli ultimi gol in carriera.

"Su punizione dal limite: Ielpo era stato espulso, in porta c'era Cappioli".

Nella stagione 1986/1987, con 17 reti, vinse la classifica dei cannonieri. E, nel 1987/1988, il primo scudetto del Milan berlusconiano.

"Rincorremmo il Napoli per un anno intero. E lo battemmo al San Paolo con due gol miei e uno di Marco nella sfida decisiva".

Nella stagione successiva ci fu però l'esplosione di Van Basten.

"E sono finito in panchina. Ma, pur giocando spezzoni di partita, segnai dieci gol".

Come mai non tornò in Sardegna?

"Non me l'hanno proposto. Sarei venuto volentieri".

Alla Juve, che fortissimamente la volle e la prese, non pare invece legato da amore eterno.

"Mi fecero delle promesse, non le mantennero e poi mi cedettero all'Udinese. Sfogavo la delusione in campo: ogni volta che incrociavo i bianconeri facevo gol".

Come vede il Cagliari di questi tempi?

"Sta lanciando dei giovani validi. È ovvio che cerchi di sopravvivere: l'obiettivo prioritario è sempre la salvezza".

A trascinarlo c'è un ex bomber del Milan come fu lei.

"Complimenti a Marco Borriello: si è calato nell'ambiente cagliaritano. Se gestito bene e se lui ha voglia, può ripetersi. Non è più il contropiedista di qualche anno fa, ma in area resta un attaccante temibile".

Ritorna sull'Isola per le vacanze?

"Certo, ci mancherebbe: arriverò a fine luglio. La base sarà la zona di Bosa, Tresnuraghes e Porto Alabe, ma conto di girare un po'".

Come mai, con la sua famiglia, non si è stabilito in Sardegna?

"Ho smesso di giocare a 35 anni e la nostra vita era a Milano".

Da ex, ormai in età tale da dispensare consigli, come giudica il caso Donnarumma?

"È un ragazzino di 18 anni, doveva essere gestito meglio. Può essere l'elemento in grado di far iniziare la riscossa rossonera, dimostrando riconoscenza al club che l'ha lanciato".

Che chance dà al Milan "cinese"?

"Sto aspettando di vedere come finirà la campagna acquisti. L'entusiasmo c'è".

Come mai ha chiuso col calcio?

"Ho allenato in C1 Atletico Catania, Viterbese e Nocerina, ma non faceva per me. Evidentemente era scritto che dovessi finire in negozio a curare la mia passione per i vini".

Neppure una partitella?

"Non più. Le cartilagini mi hanno dato problemi e ho subìto un'operazione alle ginocchia".

Politicamente da che parte sta?

"Sono rimasto colpito, pur non essendo un militante, dalle idee dei Cinque stelle. Serve aria pulita".

Ha un hobby di cui le piace parlare?

"Leggo, tutti i generi. È una passione, ma non ho tempo. Da 13 anni il ristorante mi prende dalla mattina alla sera".

Lei è un seguace di Sai Baba.

"Cerco di seguire gli insegnamenti di vita del Maestro".

Ha vinto tre scudetti, una Coppa Italia, un titolo di capocannoniere ed è l'unico sardo ad aver alzato la Coppa dei Campioni. Che cosa desidera ancora?

"Di continuare a fare quel che sto facendo con maggior serenità, gestendo sempre meglio gli alti e i bassi della vita".

Lorenzo Piras
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