"Una persona è le proprie origini, ciò che si porta dentro. È il luogo dove si è vissuti, e per questo io sono Afrosarda".

Vhelade è un'artista, "una cittadina del mondo" come ama definirsi, ricorrendo a una frase un po' consumata ma che pronunciata da lei torna quasi per magia a risplendere. Perché lei, nata a Milano da madre sarda e padre zairese, è lo specchio del rifiuto delle etichette e del gioco delle provenienze, una sfida che ha accettato da tempo e che ha convertito in musica, raccontando le sue passioni con il soul e le vibrazioni delle canzoni inserite nel suo primo vero disco: "Afrosarda", che suonerà sull'Isola in una serie di date, a cominciare da quella di Alghero del 24 giugno, in occasione dei Fuochi di San Giovanni.

Perché "Afrosarda"?

"Proprio perché tutti mi chiedono di dove sono, ho pensato che, almeno, facendo un disco che dice, appunto, che sono Afrosarda, non dovrò spiegare molto altro. Da quando sono nata, ma è sempre successo solo in Italia, tutti mi chiedono da dove vengo, solo perché parlo bene l'italiano. Ed è una cosa che mi ha sempre dato molto fastidio, perché è una delle cose più razziste che devo subire".

Qual è la sua storia?

"Sono figlia d'arte, perché i miei genitori sono entrambi degli artisti. Sono cresciuta negli anni Ottanta e Novanta, tra Milano, Cagliari, Ibiza, Riccione e Rimini, dove abita mio papà. Mia mamma è di Samugheo e vive a Ibiza".

E, diceva, sono entrambi artisti?

"Mia madre è una performer, dj e vocalist di Ibiza, Tischy Mura. Mio papà è un musicista e coreografo, arriva dalla scuola afro-rasta. I miei genitori sono giovani, mia madre mi ha avuta quando aveva 18 anni. Io sono nata a Milano e dopo due mesi siamo volati in Sardegna".

Vhelade
Vhelade
Vhelade

Quindi ha vissuto la prima infanzia sull'Isola?

"Sì, sono stata molto con mia nonna e con i miei zii in Sardegna, ho fatto la scuola a Cagliari, le elementari, il liceo. Mio padre è sempre stato una presenza fissa nella mia vita, però. Siamo cresciuti un po' 'pazzi', in un Paese molto, molto ignorante".

Perché?

"I primi anni della mia vita ho viaggiato tantissimo per via dei miei genitori, in Francia, Svizzera, India, Africa, in diverse parti d'Europa, e la differenza è sempre stata lampante. Quando ero piccola, tornavo a casa piangendo, perché mi dicevano: 'Torna al tuo Paese'. Io non capivo, perché questo - l'Italia, la Sardegna - è sempre stato il mio Paese. Una follia. Non riesco più a comprendere questa cosa delle differenze tra le persone. E sono stanca anche di parlarne".

Eppure nel disco ne parla eccome, da "Straniero" di Battisti in giù. Come mai?

"È vero. Ma sono stata spinta da ciò che vivo in questi anni, anche se indirettamente. Conosco quello che succede in giro oggi. La mia non è rabbia, è rassegnazione, ma è dentro. Il razzismo è radicato nella gente, che spesso non si rende conto nemmeno di quello che dice".

Vhelade (foto Facebook)
Vhelade (foto Facebook)
Vhelade (foto Facebook)

Musicalmente, come si è sviluppata la sua carriera?

"Come artista ho iniziato nel 2003 in tv, con Piero Chiambretti. I primi anni mi limitavo a cantare le cover, poi più tardi io e Fabio Merigo – che è anche il mio socio – abbiamo portato i nostri progetti".

Poi?

"C'è stato un passaggio dalle basi delle canzoni a brani che abbiamo iniziato a fare noi. Il primo progetto si chiamava 'Vhelade Electro Sade', un riadattamento dei suoi brani in chiave elettronica".

C'è molta Sade infatti in "Afrosarda"...

"Ah sì, a me piace tantissimo. Lei e Michael Jackson sono i miei idoli".

Quindi, dicevamo, dopo Sade cos'altro?

"Abbiamo fatto 'Vhelade Super Cover', riprendendo e stravolgendo le canzoni, anche molto famose come 'I Shot The Sheriff' e 'Sexual Healing'".

Il video di "Afrosarda" è girato in Sardegna, dove siete stati?

"Ho voluto richiamare i posti più significativi, alchemici e forti energeticamente della Sardegna, e quindi legare le tradizioni millenarie e prepagane, il mito dei mamutzones e di Dionisio, gli abiti tradizionali e le tombe dei Giganti. È una canzone dedicata all'Isola, una dichiarazione d'amore. Nel ritornello dico 'Ti amo' in lingua lingala. E poi c'è anche una parte in sardo".

Ci parla di un brano come "I miei eroi" con Dargen D'Amico?

"I miei eroi sono quelli che mi hanno salvato la vita, la musica mi ha aiutato".

In che senso le hanno salvato la vita?

"Ho fatto una vita molto 'colorata' e, a volte, anche molto malinconica. Tante esperienze, come frequentare il circo da bimba perché mia madre si era fidanzata con un uomo del circo e abbiamo vissuto tanti anni quel tipo di realtà".

Che tipo di situazione era?

"Molto bella e intensa, che ti porta a crescere molto velocemente, a raggiungere presto una sorta di autosufficienza che però apre la porta alla malinconia. Mi ricordo questi lunghi pomeriggi ad ascoltare Michael Jackson o Sade seduta sugli scalini della carovana. La musica mi ha sempre accompagnato. 'I miei eroi' è dedicata a chi mi ha aiutato, a tutti quelli che ho incrociato fin qui nella vita e che mi hanno trasmesso qualcosa".

La copertina di "Afrosarda"
La copertina di "Afrosarda"
La copertina di "Afrosarda"
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