Senectus ipsa morbus est.

La vecchiaia è per se stessa una malattia, sentenziava lo scrittore latino Terenzio Afro nel 160 a. C e credo sia difficile non concordare.

Viviamo in un’epoca di giovinezza ostentata nella quale anche la pubblicità tenta di convincerci che l’età ha poca importanza come se a qualsiasi età sia possibile fare tutto.

Dobbiamo guardare invece alla concretezza di questa età della vita nella quale si vive più a lungo, ma spesso con gravi limitazioni sia fisiche che correlate alle malattie per cui non la si accetta fino in fondo. Ma i dati del cambiamento sociale, dell’invecchiamento della popolazione sono di fronte a noi. L’aspettativa di vita in Italia al compimento dei 65 anni è di 20,6 anni.

I DATI - La media dei paesi OCSE è di 19,5 anni.

Siamo quindi tra i paesi con maggiore aspettativa di vita. Nei paesi OCSE la percentuale di popolazione con più di 65 anni è raddoppiata dal 1960 ad oggi e se il trend dovesse continuare nel 2050 in Italia gli anziani saranno il 34%, ponendo problemi importanti se pensiamo che un abitante su tre avrà più di 65 anni.

Ma serve guardare all’aspettativa di vita in buona salute ovvero agli anni di vita che ci si aspetta di vivere senza limitazioni delle funzioni o con disabilità.

La media OCSE è di 9,4 anni, mentre per l’Italia è di appena 7,7 anni.

Ovviamente vivere più a lungo è una conquista importante, ma questi cambiamenti demografici cosi profondi e veloci implicano risposte sociali decise, non solo principalmente la creazione di residenze sanitarie assistenziali, ma cambiamenti nei modelli sociali finalizzati a dare un valore ed un riconoscimento sociale a queste età della vita.

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LE STRUTTURE - Idealmente in Europa dovrebbero esserci 50/60 posti letto per ogni 1000 abitanti con più di 65 anni. La media OCSE è di 49,7 strutture, ma in Italia sono solo 19,2.

La risposta a questo ritardo sta nel welfare familiare al sud e il ricorso a strutture residenziali pubbliche e private, anche se la prima risposta è quella di affidarsi alle badanti. Si stima che per 1,5 milioni di anziani le famiglie italiane spendano circa 9 miliardi. Ma l’aspetto sul quale dovremmo riflettere subito è che da qui al 2050 la spesa sanitaria e pensionistica causata dall’invecchiamento della popolazione sarà di 50 miliardi.

LA SFIDA - Possiamo guardare questi dati come ad un futuro già scritto? No!

Il nostro compito, la nostra sfida è quella di aspirare ad avere vite lunghe, ma con buona salute perché in un momento in cui la vita è fragile di per se, il peso della malattia non diventi un macigno.

Dobbiamo pertanto guardare all’allungamento della aspettativa di vita sotto molteplici aspetti. Uno dei più importanti è la solitudine. Certo coltivare interessi ed amicizie nella vita lavorativa è fondamentale. Ma avere un ruolo riconosciuto non può essere solo uno spreco di risorse per una società che ha spinto il sistema dell’uso e getta all’estremo e che pertanto classifica le persone col metro dell’età anziché con quello della qualità.

Pertanto gli ”anziani” sono spinti ai margini della società ed automaticamente diventano un peso, mentre solo nei convegni si parla di loro come di una risorsa.

Si può guardare alle nostre società, in maniera però differente, nelle quali ciascun cittadino ha un posto, un ruolo importante a qualsiasi età.

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LE PICCOLE COMUNITA' - Il microcosmo da cui partire sono le piccole comunità, i piccoli paesi, i quartieri di una città. Da qui è possibile ricostruire un nuovo tessuto sociale. Perché la malattia che attanaglia le nostre società non colpisce solo fasce di età avanzate, ma si estende in maniera epidemica a vasti strati sociali anche giovanili ed ha un nome preciso.

Si chiama "Solitudine sociale". Giovani che si sono impegnati nello studio, ma non trovano lavoro. Moltitudini che stanno uscendo da un mondo del lavoro che cambia velocemente con l’impiego massiccio di Robot, pensionati costretti ad una vita di stenti e di solitudine, persone che non si ritrovano più ad avere un ruolo nella società. Ricominciare dalle piccole comunità, dove ancora i legami tra le persone sono più forti, è il luogo ideale per ricostruire un modello di società inclusiva. Ognuno può riconquistare un ruolo che da anche un senso alla vita.

IL FUTURO - C’è da lavorare per abbellire i nostri paesi; ridare un senso civico ai giovani ricostruendo le storie delle comunità attraverso la voce e le esperienze. Per ricordare che ciò che esiste è stato frutto del lavoro. Dare un po’ del proprio tempo deve ridiventare fondamentale. Sconfiggere l’idea che le nostre società sono basate solo sui diritti e che il futuro dipende soprattutto da quello che siamo disposti a fare. I sindaci sono chiamati a costruire questo nuovo modello di comunità. Ricominciando a parlare con tutti i cittadini, incentivando lo spirito di comunità che può essere la riscoperta di orti collettivi, lo studio e la catalogazione della flora e della fauna del territorio, la valorizzazione della biodiversità del territorio. Far sentire tutti protagonisti della comunità. Anche questo servirebbe a frenare lo spopolamento dei piccoli territori e non sarebbe cosa di poco conto. Ma soprattutto servirebbe a dare un senso alla vita di tanti in una società che sta perdendo i suoi valori fondativi anche nei piccoli paesi.

Antonio Barracca

(medico specialista, già dirigente ospedaliero)

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I dati

Aspettativa di vita a 65 anni:

Media OCSE : 19,5

Italia: 20,6

Anni in salute a 65 anni:

Media OCSE: 9,4

Italia: 7,7

Residenze assistenziali/ogni mille anzini over 65:

Italia: 19,2

Spagna: 47,3

Francia: 55,7

Spesa per 1,5 milioni anziani (badanti):

9 miliardi

6000 euro/anno/famiglia

(Fonti: Isimm Ricerche)
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