La coltivazione da frutto in Sardegna è una pratica dalle antichissime origini, e le prime evidenze risalgono addirittura al periodo Fenicio e Punico.

A rivelarlo è uno studio condotto dall'équipe archeobotanica di HBK (l'Orto Botanico dell'Ateneo), in collaborazione con il Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio dell'Università di Cagliari, la Soprintendenza Archeologica e l'Instituto de Historia del Consejo Superior Investigaciones Científicas (CSIC).

Le risultanze sono apparse in un articolo pubblicato su "Vegetation History and Archaeobotany", una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore, che dà conto dei risultati delle ricerche effettuate.

Le indagini, in particolare, hanno consentito di documentare la presenza in Sardegna dei primi alberi da frutto – i resti vegetali rinvenuti sono riferiti a mandorle, nocciole e noci a cui si aggiungono numerosi semi di vite, susino, anguria, olivo, zucca da vino, pinoli e bacche di ginepro - probabilmente introdotti dai Fenici e dai Punici tra il 500 e il 200 a.C.

I materiali, tutti in ottimo stato di conservazione, sono stati recuperati dagli archeologi sul fondale della Laguna di Santa Giusta, successivamente sono stati trasferiti nella Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR) e analizzati dal punto di vista morfologico attraverso il confronto con le collezioni di materiali moderni. Tutti i materiali, inoltre, sono stati conservati all'interno delle celle frigorifere con l'obiettivo di preservare sia la loro morfologia che l'eventuale DNA antico ancora presente.

Visti gli incoraggianti risultati ottenuti con queste ricerche, gli studi proseguono su altri contesti subacquei della Sardegna per meglio comprendere l'origine delle specie frutticole anche in un'ottica di valorizzazione delle varietà locali.

(Unioneoline/v.l.)
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