Oggi si parla molto – e anche giustamente – dei casi di malasanità. Troppo spesso, però, ci si dimentica dei grandi meriti della medicina, di quanto, negli ultimi due secoli, essa abbia compiuto passi da gigante rivoluzionando di fatto il rapporto tra essere umano e malattia, a tutto vantaggio del primo. Per rendercene conto basta leggere L’arte del macello (Bompiani, 2017, Euro 20,00, pp. 352. Anche Ebook), l’avvincente storia di come nel corso dell’Ottocento la chirurgia sia passata da pura macelleria a pratica medica capace di salvare milioni di vite.

L’autrice, Lindsey Fitzharris, ricostruisce con il rigore scientifico e il gusto della narrazione caratteristici degli storici anglosassoni il mondo delle sale operatorie di epoca vittoriana. Luoghi tetri, antri infernali dove i chirurghi operavano senza anestesia contando solo sulla loro abilità e soprattutto rapidità. Più l’intervento era rapido meno il paziente soffriva e perdeva sangue e quindi aveva qualche chance di farcela. Spesso gli interventi – molto rari in quei tempi perché altissima era la mortalità chirurgica e la sala operatoria era considerata una sorta di ultima spiaggia per i casi disperati – si trasformavano in veri e propri spettacoli a cui assistevano decine di aspiranti medici e chirurghi, desiderosi di ammirare l’abilità dei grandi maestri dell’epoca.

Maestri come l’inglese Robert Liston, capace con la sola forza della sua enorme mano sinistra di bloccare il flusso sanguigno in una gamba mentre in meno di due minuti amputava l’arto con la destra. Liston fu però anche il primo, nel 1846, a usare l’etere per addormentare un paziente in un intervento, imponendo il primo grande cambiamento nel mondo della chirurgia. Un cambiamento epocale, ma non definitivo, perché oggi ci siamo dimenticati come nell’Ottocento la medicina non conoscesse neppure l’esistenza di germi e batteri e quindi non mettesse in pratica nessuna azione per contrastarli.

Così nessun chirurgo si lavava le mani prima e dopo un intervento, si operava su letti imbrattati di sangue e con attrezzi lordi dopo decine di operazioni. Gli ospedali erano così il paradiso degli agenti infettivi e l’inferno degli operati, che morivano come mosche per infezioni gravissime e dolorosissime. La situazione era tanto grave e incontrollabile in quegli anni che ci furono proposte per abbattere completamente gli ospedali dopo un certo numero di anni, quando era evidente che le infezioni erano all’ordine del giorno!

Il primo a provare a cambiare le cose fu un giovane chirurgo sempre inglese, Joseph Lister, l’uomo che può essere considerato l’iniziatore della moderna chirurgia.

Lister, infatti, rinnegò tutte le teorie più antiquate, abbandonò gli insegnamenti accettati da tutti e rifiutò l’idea che l’unica soluzione in un intervento fosse quella di agire come macellai, tagliando con violenza le parti malate e sperando che il resto del corpo reagisse al meglio. Si mise, invece, a fare indagini con il microscopio, strumento poco usato nella medicina del tempo, a fare tentativi per trovare una via per frenare le infezioni. Nella seconda metà del XIX secolo Lister comprese, aiutato dalle ricerche del francese Louis Pasteur, che esiste un mondo invisibile all’occhio nudo dove però si annidano nemici terribili per l’uomo.

Per questa ragione eliminò la sporcizia dagli ospedali e dalle sale operatorie, ma soprattutto mise a punto il primo antisettico chirurgico utilizzando l’acido fenico per disinfettare ambienti e ferri chirurgici e creare un ambiente più sano possibile durante gli interventi e le medicazioni post-operatorie. Nonostante gli evidenti successi, le sue pratiche antisettiche furono osteggiate da molta parte dell’ambiente medico perché, come ha scritto il grande filosofo del Seicento John Locke, “le nuove idee sono sempre sospette, e di solito a queste ci si oppone, e l’unico motivo è proprio perché non sono condivise”. Perché le idee di Lister venissero alla fine condivise ci volle un colpo di scena come in ogni romanzo dell’Ottocento che si rispetti. Il chirurgo, infatti, venne incaricato nel 1871 di operare la regina Vittoria, gravemente malata. L’operazione fu un successo e la macelleria chirurgica, per nostra fortuna, diventò finalmente solo un retaggio del passato.

La copertina del libro
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