Ogni anno, il 10 dicembre, Stoccolma ospita la cerimonia di consegna dei Premi Nobel. Per gli scienziati, ma anche i letterati ed economisti che lo ricevono, rappresenta il culmine della loro carriera, l'ingresso nell'Olimpo. Da più di cent'anni, esattamente dal 1901, il Nobel è questo: l’alloro che fa entrare nel club dei Grandi. Un club creato per una geniale ed estemporanea intuizione da Alfred Nobel (1833-1896), inventore e imprenditore di successo. Un giorno Nobel lesse su un giornale parigino un necrologio a lui dedicato in cui veniva definito "mercante di morte" perché aveva inventato la dinamite e grazie a essa era diventato ricco. Il necrologio era naturalmente dedicato alla persona sbagliata – era morto infatti suo fratello Ludwig – ma Nobel rimase colpito dalla fama negunionesarda ativa di cui godeva. Decise quindi di lasciare un’eredità positiva istituendo un premio destinato a coloro che avevano portato beneficio all’umanità con il loro lavoro. Destinò tutto il suo patrimonio – 177 milioni di euro al cambio attuale! – come fondo per sostenere l'iniziativa. Nacque così il Nobel, un premio destinato a conoscere una fortuna inaspettata e duratura. I motivi di questo successo li chiediamo a Massimiano Bucchi, professore ordinario di Sociologia della Scienza e Comunicazione, Scienza e Tecnica a Trento e autore del libro "Come vincere un Nobel" (Einaudi, 2017).

"La forza del premio nasce dal fatto che arrivò al momento giusto, un momento in cui la scienza e la tecnologia stavano facendo molti progressi e cominciavano a diventare materie che affascinavano le persone anche perché erano sempre più complesse e difficili da capire".

Questa forza è integra a distanza di un secolo dall'istituzione del premio?

"Oggi le cose sono cambiate e spesso ci sono critiche perché il premio trascura nuovi settori della scienza oggi diventati molto importanti. Oppure perché premia una persona per un lavoro che invece è stato reso possibile dall’opera di centinaia di ricercatori. Però il fatto che si parli ogni anno del Nobel, dei vincitori, dimostra quanto il premio sia ancora vitale".

Insomma il Nobel qualche segno dei tempi lo mostra. Cosa farebbe lei per rinnovarlo?

"Nonostante questi limiti cambiare la formula del Nobel non mi pare una buona idea. La sua forza sta, infatti, nella continuità. Il rito è uguale tutti gli anni. Non si sa chi sono i candidati, c'è molta attenzione al cerimoniale con il sovrano svedese che consegna i premi simboleggiando l'omaggio che la società rende alla scienza. Anche il fatto che il numero dei premi sia limitato è importante, è parte stessa del prestigio del Nobel".

Spesso i premi sollevano molte discussioni. Soprattutto quando si parla del Nobel per la Pace...

"Certo, il premio per la Pace è quello che si espone maggiormente a scelte dettate dalla politica, ma scelte 'imposte' da fattori esterni si ritrovano anche nei Nobel assegnati in ambito scientifico e in quello per la letteratura. Scelte imposte, per esempio, dal momento storico. Ma anche le discussioni fanno parte della storia e del fascino del Nobel, sono parte di quella grande narrazione che è il Nobel".

Possiamo dire che la storia del Nobel è un grande romanzo novecentesco?

"La storia del Nobel è straordinaria. È particolare la nascita del premio, è particolare la storia di Alfred Nobel e sono straordinarie le storie di tanti vincitori ma anche di tanti che il premio non lo hanno vinto magari sfiorandolo solo. Nel mio libro ci sono storie a lieto fine e storie anche tragiche. Illusioni e grandi successi. Insomma il Nobel è certamente un percorso narrativo per ripercorrere l'ultimo secolo della scienza e dei suoi rapporti con la politica, la società e la cultura".
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