"Ora credo negli angeli. Quando ho visto con quanta cura e amore vi siete rivolti al mio Giuseppe, ho capito che non c'è bisogno delle ali per essere un angelo".

Michele Matta, artigiano vetraio di Sinnai, è il babbo di Giuseppe, un bimbo di 13 anni morto per una grave forma di fibrosi cistica, la "Delta F508".

Gli angeli a cui Michele Matta si riferisce sono i medici e gli infermieri del reparto di Pediatria dell'ospedale Brotzu di Cagliari, che hanno assistito il piccolo Giuseppe dal momento della nascita fino a pochi giorni fa.

Il bambino ha trascorso quasi tutta la vita in ospedale. Il babbo quasi tutte le notti con lui, con medici e infermieri sempre presenti.

"Per me - racconta l'imprenditore - sono stati una seconda famiglia, dei cari amici che mi hanno consigliato e aiutato ad affrontare tredici anni densi di difficoltà, ma anche di soddisfazioni, perchè Giuseppe, malgrado la malattia, ha combattuto sino alla fine anche grazie alla forza che loro, medici e infermieri, gli hanno saputo trasmettere. Una equipe di grandissima umanità, capace di lenire lo sconforto dei piccoli pazienti con lo stesso amore di un papà e di una mamma".

"Giuseppe aveva grande stima dei suoi dottori - ricorda anche Michele Matta - tanto che, nonostante avesse solo 13 anni, amava vestirsi con giacca e cravatta, proprio come loro".

Michele ha fatto sempre riferimento al dottor Maurizio Zanda, che guida questo reparto speciale del Brotzu. "Ogni desiderio del piccolo veniva esaudito", ricorda.

"È stato lui, il dottor Zanda - dice ancora papà Michele - a guidare la battaglia contro questa grave patologia, per la quale purtroppo non c'è cura".

Giuseppe non è potuto andare a scuola, ma è riuscito comunque a studiare, grazie ad un progetto di scolarizzazione domiciliare portato avanti col professor Gugliotta, dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo numero 2 di Sinnai.

"Mio figlio a dispetto della sua giovane età - ricorda ancora Michele - era un bimbo intelligente e preparato, anche nell'uso delle nuove tecnologie, amato dai suoi compagni di classe che non gli hanno mai fatto mancare il sostegno. È stato anche grazie a questo che è riuscito, in certe occasioni, a sentirsi un bimbo normale".
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