Si sono svolte domenica le elezioni per la composizione del nuovo Parlamento cubano e per la successione a Raul Castro, chiudendo così la lunga pagina di storia della nazione iniziata nel lontano 1959, con la Revolución di Cuba. Ma per gli otto milioni di elettori la democrazia resta un concetto ancora sfumato, dal momento che la tornata si consumerà senza forze di opposizione e con il candidato favorito Miguel Diaz-Canel indicato dall'attuale presidente come il successore naturale del castrismo e come "figlio della Rivoluzione".

Come a dire che il passato non si cancella e che la parabola iniziata il 1° gennaio del 1959 con la fuga del dittatore Fulgencio Batista dall'Isola e l'ingresso trionfale a Santiago e all'Avana dei guerriglieri guidati da Fidel Castro, Ernesto Che Guevara e Camilo Cienfuegos non si è ancora conclusa.

Enigma Fidel: eroe o dittatore?

Poche altre figure politiche sono state così controverse, in patria e altrove, tra letture eroiche del suo operato e l'accusa di aver tenuto sotto un pugno di ferro dittatoriale Cuba per quasi 50 anni.

Nel bene e nel male la biografia di Castro si è intrecciata con il percorso di una nazione, cambiandone il destino e rendendola un unicum nello scacchiere internazionale. Con il sogno di strapparla all'imperialismo statunitense, Castro ne ha fatto un esempio di socialismo reale in salsa caraibica, tenendo duro in momenti di alta tensione come la fallita invasione Usa alla Baia dei Porci o la crisi dei missili del 1962, che rischiò di gettare il mondo in una guerra nucleare. Ma il prezzo di tanta fermezza e della difesa della Rivoluzione è stato piuttosto caro e si è riversato sui cubani in termini economici, con un lunghissimo embargo e una pericolosa dipendenza dagli aiuti dell'Unione sovietica, e sul fronte dei diritti civili con la messa a tacere di ogni forma di opposizione e l'isolamento forzato dal resto del mondo. Una deriva dei principi originari della Rivoluzione, pagata dai ribelli al regime e dalle migliaia di profughi che negli anni sono scappati verso le coste della Florida.

"La storia mi assolverà"

Anche per i suoi detrattori più convinti, però, resta difficile negare il carisma del politico Castro, il borghese destinato a una carriera d'avvocato che abbandonò la toga per la causa rivoluzionaria, finì in carcere per l'assalto alla caserma Moncada e si difese dicendo "la storia mi assolverà". Poi ci sono stati l'esilio e la preparazione meticolosa della guerriglia, fino alla presa definitiva dell'Isola nel 1959 e la consacrazione a Líder Maximo della rivolta e della nuova Repubblica. Intanto, il mondo guardava con un misto di curiosità e apprensione al nuovo corso cubano, alle nazionalizzazioni forzate, alla cacciata delle imprese straniere e agli accordi con l'Urss, ma anche alla lotta all'analfabetismo e al programma di assistenza sanitaria gratuita per tutta la popolazione.

Una Repubblica che ha fatto paura soprattutto agli Stati Uniti del giovane presidente John Fitzgerald Kennedy, che negli stessi anni stava imprimendo in casa propria una svolta altrettanto rivoluzionaria e che non sarebbe mai stato tenero nei confronti di Fidel Castro. Tra Cuba e gli Usa si è giocato un vero e proprio braccio di ferro, culminato nell'ottobre del 1962 con la scoperta di basi sovietiche per il lancio dei missili sull'Isola e quei tredici giorni di duello a distanza tra Kennedy e il leader del Cremlino Kruscev che hanno portato il mondo sull'orlo della guerra totale. Per fortuna di tutti ha vinto il buonsenso, con l'Urss che ha ritirato l'armamento nucleare e gli Usa che si sono impegnati a non invadere Cuba e a lasciar stare Castro.

Le prime crepe della Rivoluzione

Dopo l’alta tensione internazionale, i veri problemi per Castro sono arrivati dall'interno, dagli oppositori sempre più numerosi al regime e persino dai compagni della guerriglia, che lo hanno accusato di complicità nell'omicidio di Ernesto Che Guevara. Ma sono stati soprattutto gli effetti dell'embargo economico a spegnere l'entusiasmo dei cubani per la Rivoluzione, una condizione di miseria economica che si è aggravata con il crollo dell'Urss e la fine dei lauti aiuti economici all'Isola.

Una crisi sempre più acuta che è finita sotto i riflettori internazionali e ha spinto Capi di Stato e personalità come Papa Giovanni Paolo II a pressioni sugli Usa perché ponessero fine all'embargo e su Castro perché allentasse le maglie del regime e cedesse in materia di diritti civili. Intanto il "comandante" si avviava al suo tramonto e, complici seri problemi di salute, cedeva il testimone al fratello Raul che avrebbe lentamente traghettato il Paese verso la democrazia e riaperto le relazioni con gli Usa, fino alla storica visita sull'Isola del presidente americano Barack Obama, nel marzo del 2016. Un cambio di passo fondamentale per il futuro di Cuba e dei suoi abitanti, segnato simbolicamente dalla scomparsa del "comandante" Fidel qualche mese più tardi.

Barbara Miccolupi

(Unioneonline)

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