"Ma in che pasticcio ci hanno messo?".

Sarebbero queste le parole pronunciate dal procuratore di Modena Lucia Musti - secondo quanto riporta il verbale della sua audizione al Csm dello scorso 17 luglio - rivolgendosi al procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, dopo che nel luglio del 2015 era apparsa sui giornali l'intercettazione della telefonata tra Matteo Renzi e il generale della Gdf, Michele Adinolfi.

L'intercettazione faceva parte dell'informativa dell'inchiesta Cpl Concordia che il pm di Napoli, Henry John Woodcock, aveva trasmesso alla collega di Modena.

Nei giorni scorsi avevano fatto discutere le frasi attribuite a Musti, che secondo le indiscrezioni di stampa avrebbe affermato che il capitano del Noe Gianpaolo Scafarto - che indagava sui legami tra il padre dell'ex premier e i vertici di Consip, la centrale acquisti della Pubblica Amministrazione - e il colonnello Ultimo volessero arrivare con l'inchiesta a colpire proprio l'ex primo ministro.

"Se vuole ha una bomba in mano. Lei può far esplodere la bomba. Scoppierà un casino. Arriveremo a Renzi", avrebbero affermato i due.

Parole smentite nei giorni successivi da Ultimo, che attraverso il suo legale ha fatto sapere di sentirsi al centro di un caso di linciaggio mediatico e si è reso disponibile a un confronto pubblico per smentire queste voci.

RENZI: "CHI HA FALSIFICATO LE PROVE PAGHI" - Intanto sulla vicenda è tornato a parlare anche l'ex premier, che negli scorsi giorni aveva sostenuto che l'intero scandalo Consip fosse nato per colpirlo.

"È evidente che ci sono prove falsificate e chi lo ha fatto deve pagare. Io mi fido dei magistrati", ha dichiarato ieri sera il segretario del Partito democratico ospite del programma tv "Cartabianca".

Ha poi aggiunto che le accuse nei confronti del padre Tiziano, coinvolto nell'indagine, "non hanno influito sul risultato del referendum. Avrei perso comunque".

(Redazione Online/F)

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