Pubblichiamo oggi la riflessione di un giovane ventenne residente a Nurallao, che con grande semplicità porta all'attenzione dei nostri lettori l'esempio di tanti ragazzi costretti, anche per banali "distrazioni" dell'amministrazione pubblica, a lasciare l'Isola.

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Gentile redazione,

ho 20 anni, studio all’università, e vivo a Nurallao, paesino di circa 1300 abitanti.

Amo il mio paese e qui vorrei poter vivere e trovare lavoro, ma mi rendo purtroppo conto che ciò non sarà possibile. E mi chiedo se la causa stia davvero, come molti dicono, nel volgere dei tempi, o se invece non stia anche in alcune discutibili decisioni delle amministrazioni locali.

Nurallao è un paese povero, da ormai qualche decennio, con un tasso di disoccupazione giovanile molto alto. Sopravvivono tre bar e due pizzerie, che storicamente hanno sempre dato lavoro a ragazzi e ragazze.

Da qualche tempo, però, con l'approssimarsi di popolari manifestazioni del periodo estivo, le istituzioni autorizzano la vendita nelle strade delle bevande, ovviamente in netta concorrenza con le attività di ristorazione locale che qui lavorano e pagano le tasse tutto l'anno.

Tutto questo mi fa venire rabbia, perché un commerciante nurallaese aspetta l'estate per poter guadagnare qualcosa in più, e invece grazie a queste concessioni "selvagge" le entrate crollano inesorabilmente. Aggiungo anche che se ci fosse più lavoro, i commercianti darebbero magari qualche giornata, correttamente retribuita, a chi ne fa richiesta.

Questo è solo un semplice esempio dell'attenzione che la Sardegna pone verso i propri giovani e poi ci si chiede come mai molti scelgano di trasferirsi all'estero.

Vorrei tanto che questa decisione non dovesse diventare un obbligo, perché sarebbe ingiusto.

S.

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