È stato il giorno della difesa di Francesco Schettino, oggi, anche se lui non era in aula a Firenze ma è rimasto nella sua casa di Meta di Sorrento.

Al processo d'appello per il naufragio della Costa Concordia, avvenuto all'isola del Giglio il 13 gennaio 2012 e che ha causato la morte di 32 persone, si dovrà valutare se confermare la condanna nei confronti del comandante della nave, al quale in primo grado sono stati riconosciuti 16 anni di carcere.

Nella prima udienza il sostituto procuratore generale Giancarlo Ferrucci ha chiesto che venga ricalcolata la pena stabilendo 27 anni di reclusione.

A prendere la parola per primo è stato l'avvocato Donato Laino, difensore del comandante, che ha parlato della famosa telefonata tra Schettino e il capitano Gregorio De Falco: "Quella telefonata è stata estratta dal disco madre della Capitaneria di porto di Livorno il 14 gennaio, quando ancora non si sapeva quanti morti c'erano. Quella telefonata è stato il leit-motiv per definire codardo il comandante Schettino - ha sostenuto Laino - Tutti i file vennero estratti il 18 e 21 gennaio e solo quello fu estratto il 14 gennaio. Ancor oggi non si è scoperto chi ha rivelato il segreto istruttorio: eppure chiunque era in grado di scoprire questo reato gravissimo, perché ha condizionato le indagini, riversando tutte le responsabilità su Schettino".

E ancora, in merito alle vittime: "I morti ci sono stati perché il sistema intero non ha funzionato. Ad esempio, la responsabilità della morte dei lavoratori della nave non può essere attribuita solo a Schettino, ma anche al responsabile della sicurezza. E, invece, Schettino è imputato anche di questo".

L'udienza riprenderà domani: Laino concluderà la sua requisitoria e passerà la parola all'altro difensore del comandante, Saverio Senese.
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