Un kilowatt su quattro, tra quelli che consumiamo, è per così dire “farina del nostro sacco”, nel senso che ce lo siamo prodotti da soli. Anzi, in realtà non è nemmeno un kilowatt intero, considerato che gli italiani possono contare soltanto sul 23% di energia elettrica autoprodotta, mentre il restante 77% è “d’importazione”.

È decisamente un male, per le nostre tasche, oltretutto perché siamo uno dei Paesi con la più bassa autosufficienza elettrica nell’Unione europea, che ha una media del 39%: ben sedici punti in più rispetto a noi, che ci costano uno degli ultimi posti in classifica. Tutto questo, ed è ciò che più fa arrabbiare, malgrado il fatto che chist'è o paese do sole, come si legge nel commento che gli analisti di EnergRed.com – impegnata nel sostenere la transizione energetica delle piccole e medie imprese italiane, con una particolare attenzione alle fonti rinnovabili e al solare soprattutto - allegano alla ricerca da cui si ricavano i dati che abbiamo appena elencato.

Sempre quelli di EnergRed, ci fanno sapere che la nostra autonomia potrebbe migliorare di cinque volte (rispetto alla media degli ultimi vent’anni, non del dato attuale), se sfruttassimo il sole, il vento e l’acqua per produrre energia elettrica in un Paese come il nostro, che al referendum del 1987 disse no alle centrali nucleari. Però, poi, l’energia prodotta in questo modo l’acquistiamo a caro prezzo nel mercato europeo, particolarmente in quello francese. Inoltre, produciamo moltissima energia elettrica utilizzando i carburanti fossili, che sono estremamente inquinanti.

Ma questo è, e bisogna irrimediabilmente farci i conti. E allora ci vuole un piano B, che consiste nel migliorare l’efficientamento energetico, grazie al quale l’Italia potrebbe raggiungere il 60% dell’autonomia, il che significa quasi tre volte in più rispetto alla situazione di oggi, che ci obbliga ad acquistare enormi quantità di Megawatt all’estero. «L’attuale crisi energetica», commenta non a caso Moreno Scarchini, amministratore delegato di EnergRed, «in un contesto in cui il tema delle forniture è al centro del dibattito internazionale legato alle interdipendenze tra i vari Paesi, dipende dal fatto che il nostro produce appunto solo il 23% dell’energia che consuma». Nella classifica degli Stati che fanno parte dell’Unione europea, siamo quindi al quint’ultimo posto: peggio di noi, fanno soltanto Malta (3% di autosufficienza energetica), Lussemburgo (con il 5%), Cipro al 7% e Belgio al 22%. Con un “contorno” contraddittorio, però, considerato che «l’Italia, assieme alla Spagna», fa notare Giorgio Mottironi, marketing manager di EnergRed, «è uno dei Paesi più favoriti in termini di esposizione al sole». I cui raggi, notoriamente, sono gratuiti. Lo stesso Mottironi ammette che, negli ultimi vent’anni, l’autonomia energetica italiana ha fatto registrare un miglioramento maggiore rispetto a quello messo a segno dagli altri Paesi dell’Unione europea», e lo prende come un segnale di speranza per gli anni a venire.

I numeri danno ragione al marketing manager: l’incremento dell’autosufficienza energetica in Italia, valutato il 9%, è cinque volte quello fatto registrare dalla Spagna (il suo dato è +1,8%) e quasi triplo se paragonato a quello della Francia (+3,7%), ma quest’ultima ha le centrali nucleari da tempo, quindi partiva da una posizione assai superiore rispetto a quella del Belpaese.

L’Italia, fanno notare quelli di EnergRed, è il Paese leader dell’Ue per quanto riguarda la disponibilità di fonti rinnovabili, intese come sole, vento e acqua. Il punto da perseguire, secondo i suoi analisti, è aumentarne la diffusione e migliorarne lo sfruttamento, certo con politiche che non sacrifichino i singoli territori imponendo impianti deturpanti, senza un accordo e un incentivo economico per quegli stessi territori che producono energia per tutti. Ma questa è un’altra storia, che la Sardegna conosce fin troppo bene, considerati i tentativi di assalto anche del suo mare senza accordi (né vantaggi) per chi vive nell’Isola, e al prezzo di deturpare paesaggi naturali incantevoli trascurando di coinvolgere chi dovrebbe ospitare gli impianti nella scelta dei siti in cui installare le apparecchiature per produrre energia verde, che si troverebbe comunque a pagare tariffe identiche a quelle dei luoghi in cui questi impianti non ci sono.

A poter crescere maggiormente, parlando sempre di fonti rinnovabili, secondo gli analisti è il fotovoltaico: fino a sei volte tanto rispetto a quel che già c’è. In cifra, sarebbero 126 Gigawatt (Giga significa un miliardo) addizionali, e sul podio sono Lombardia, Sicilia e Puglia: tre regioni che, da sole, rappresentano un terzo della potenza addizionale nazionale. Il 40% è costituito da impianti installati sui tetti, il 60% arriva dagli impianti a terra, compreso l’agrivoltaico.

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