«Siamo un popolo che ha vissuto contraddizioni ma anche depositario di grandi potenzialità dobbiamo festeggiarci senza incensarci. Sa Die non è un giorno di parole roboanti a compensazione degli altri 364 giorni dell’anno, non è il fine ma è un impegno. Per migliorarci, per agire in modo differente. L’autodeterminazione, lo abbiamo detto, cammina sulle spalle di un popolo istruito. Un popolo consapevole di sé».

Lo ha detto la governatrice Alessandra Todde, nel corso delle celebrazioni in consiglio regionale per Sa Die de Sa Sardigna, che si sono concluse con le note della banda della Brigata Sassari che ha suonato i brani del suo repertorio.

«Sa Die – ha detto Todde - è l’occasione per assumere l’impegno a svolgere questo compito con slancio rinnovato, costante, convinto, chiamando alla partecipazione ogni donna e uomo di Sardegna».

Secondo la presidente, «Sa Die fu più di una ribellione estemporanea. Per questo il suo culmine non è la cacciata temporanea della classe dirigente sabauda. Sa Die ci parla di tempi costituenti. Tempi in cui un parlamento riprende vita, la virtù patriottica accende gli animi, le nostre comunità sperimentano patti federativi per liberarsi dal giogo feudale, una parte importante della classe dirigente sarda pone la felicità e la dignità della Nazione sarda come suo obbiettivo».

E dunque, «l’occasione odierna è piuttosto quella di guardarci nello specchio della storia e capire insieme se, proprio grazie a questa storia, possiamo fare di più e meglio per la nostra gente e la nostra terra. Se possiamo trovare in essa alimento per delle sfide enormi, come quelle di chi deve affrontare le molteplici crisi che sembrano condannare la Sardegna a un destino di spopolamento e spoliazione».

In altre parole, «mentre celebriamo, abbiamo l’occasione di domandarci se sia meglio proseguire con una storia di rivendicazione, in cui noi sardi chiediamo ad altri di farsi carico dei nostri problemi e delle loro soluzioni, o se non sia il caso di entrare in una fase di reale autodeterminazione, in cui plasmare una nuova politica sarda, in cui costruire con tutta la passione e l’intelligenza possibile delle istituzioni al pieno servizio dei sardi e della Sardegna».

«Il primo modo per cambiare la propria storia – ha proseguito la governatrice – è raccontarla in modo diverso. È raccontarci in modo diverso. Anche a costo di mettere in discussione quegli stereotipi e quell’orgoglioso senso di identità che dietro un velo di confortante abitudinarietà nasconde la difficoltà a darsi valori alti e obbiettivi chiari. Da troppo tempo siamo intrappolati in un racconto che è “contro”. Un racconto in cui altri hanno il potere di decidere della nostra vita e a noi non rimane che ribellarci per rivendicare un trattamento meno opprimente».

Ma questa, conclude, «non è la nostra storia. Non è l’unica che il nostro passato ci ha lasciato in eredità. Non è la migliore che possiamo raccontare a noi stessi e, soprattutto, ai nostri figli e alle nostre figlie. C’è una storia di autodeterminazione tutta da scrivere, tutta da fare».

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