Ognuno di noi ha un proprio ricordo collegato a un bel panino imbottito. Magari una gita scolastica con uno sfilatino ripieno di salame, però addentato di fronte al Colosseo oppure osservando il mare. O ancora, il ricordo di un picnic a base di tramezzini di tutti i gusti, fianco a fianco al primo amore… o anche al secondo o al terzo, va bene comunque!

Al di là dei romanticismi, il panino è anche un esempio di praticità, da consumarsi in fretta nelle pause di lavoro, e di creatività, perché tra due o più fette di pane si può mettere tutto l’universo mondo commestibile. Di una cosa possiamo essere sicuri: non esiste italiana o italiano che non abbia il proprio, prediletto “pane e companatico”.

Non esiste italiana o italiano che non abbia il proprio personale boccone di felicità come ci racconta lo storico della gastronomia Alberto Capatti nel suo "Storia del panino italiano” (Slow Food Editore, 2024,  pp. 144), un agile volumetto con cui ripercorre curiosità e aneddoti di uno degli alimenti più comuni e consumati.

Alberto Capatti descrive, infatti, un’umile, ma ricca epopea che parte dall’usanza molto popolare del panino come pranzo durante il lavoro sia nei campi sia in fabbrica, prosegue con i tramezzini e tutte le loro fogge in ogni regione, passa per l’avvento del fast food e termina con il panino “gourmet”. Un lungo percorso, originato dalla nascita dell’inglesissimo sandwich, il panino che John Montagu, quarto conte di Sandwich, si faceva preparare da un suo servitore per poter mangiare rapidamente, ma in maniera gustosa, senza sospendere neppure per un minuto le sue amatissime partite a carte. Quel panino originario - due fette di pane prive di crosta con in mezzo carne fredda e formaggio - ha aperto la strada alla milanesissima michetta col salame, allo sfilatino con la porchetta tipico dell’Italia centrare e alle mille variazioni regionali offerte dal nostro Belpaese.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Il panino è citato in molti romanzi, come ci racconta Capatti, e ha attirato l’attenzione di letterati tanto che a D’Annunzio si deve il termine tramezzino mentre i Futuristi di inizio Novecento italianizzarono il sandwich denominandolo “traidue”.

Sempre attraversando la Penisola il panino può farsi imbottito, ripieno e addirittura gravido, come si dice a Firenze, mentre come si taglia il pane può dirci qualcosa delle abitudini e, addirittura, del ceto, di chi impugna il coltello. In verticale tagliavano il pane i ricchi e i nobili, mentre il popolo andava in orizzontale. Così come da ricchi era mangiare il panino privo di crosta, mentre chi doveva stringere la cinghia la crosta la teneva, eccome se la teneva.

Nel volume, realizzato con il sostegno dell’Accademia del panino italiano, migliaia di pani diversi, migliaia di ingredienti e combinazioni differenti offrono un excursus senza pari, che incrocia la storia d’Italia e dei suoi cibi, esattamente come i piatti tradizionali presenti in ben più “nobili” ricettari. Percorrere questo viaggio nel tempo ci permette di pensare ai significati che potremmo dare tutte le volte che diciamo con noncuranza: “Mangio solo un panino!”.

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