Era il 26 aprile del 1986, 38 anni fa esatti, quando a Chernobyl si scatenava il più grave incidente nucleare nella storia dell’umanità, con un numero di vittime ancora oggi difficile da determinare a causa degli effetti a lungo termine delle radiazioni e della difficoltà nel tracciare accuratamente le malattie e le morti associate all'incidente.

Una stima dell'ONU parla di 4.000 vittime, ma molti esperti parlano di una sostanziale sottostima.

Nelle aree di contaminazione radioattiva erano presenti ben 3.678 insediamenti abitati, con una popolazione di 2,2 milioni di persone; ben 479 di questi insediamenti, per lo più piccoli villaggi, hanno cessato di esistere.

Dalle aree colpite dalla catastrofe di Chernobyl sono state evacuate 137.700 persone, ma contestualmente all'evacuazione e al reinsediamento organizzato si calcola che circa 200.000 persone hanno lasciato autonomamente le aree contaminate. Ancora oggi, a distanza di quasi quarant'anni, la zona di esclusione intorno alla centrale nucleare, in cui non è più possibile vivere, è di quasi 3000 chilometri quadrati.

E se Chernobyl è stata distruzione, morte ed angoscia, è stata anche l’inizio di un ampio movimento di solidarietà teso ad ospitare temporaneamente i bambini delle aree contaminate così da favorire un ricambio d'aria che consentisse loro di ridurre drasticamente l'assorbimento di radioattività nell'organismo, grazie alla permanenza in un ambiente non contaminato e a un'alimentazione priva di radionuclidi.

Dai primi anni 90 e sino al 2020 l’Italia, facendo più di tutti gli altri Paesi messi insieme, ha accolto circa 600.000 bambini bielorussi e oltre 100.000 bambini ucraini, nell’ambito dei cosiddetti “Progetti Chernobyl”, accogliendo da sola oltre il 60% di tutti i bambini ospitati all’estero. 

Una pagina di solidarietà concreta che arriva sul grande schermo nel docufilm "Le Cicogne di Chernobyl" (Italia, 2024, 69') firmato dal regista cagliaritano Karim Galici in una produzionbe di Cittadini del Mondo Cinema per il Sociale con il sostegno della Fondazione di Sardegna e con la collaborazione di RAI TECHE.

Il documentario porta alla luce una riflessione poetica su cosa è stato Chernobyl raccontando alcune delle belle storie nate grazie all’accoglienza e alla solidarietà delle famiglie italiane.

Partendo dall’incidente del 26 aprile 1986, il documentario si avventura quindi a pochi chilometri dalla centrale, seguendo le tracce di un sopravvissuto che guida la troupe verso la sua casa natia evacuata quasi quarant’anni fa, per poi raccogliere la testimonianza di un uomo intervenuto per spegnere gli incendi scoppiati subito dopo l’esplosione. E poi il racconto delle storie di rinascita di bambini, oggi giovani adulti, segnate per sempre da quel 26 aprile 1986, data del disastro nucleare di Chernobyl.

Nel film si alternano percorsi e figure diverse: come i tre fratelli, che dopo essere cresciuti separati in tre orfanotrofi si ritrovano uniti da una grande famiglia italiana allargata; la ragazza che attraverso la formazione trova lavoro e stabilità proprio in Sardegna, ma decide di tornare in patria per amore, o le due bambine diventate amiche per la pelle dopo esser state accolte da Nonna Barbara, con la quale continuano a rimanere in stretto contatto come due vere proprie nipoti.

(Unioneonline/v.l.)

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