Il Far west da queste parti lo chiamano "faida": vendette, morti ammazzati, fucili, pistole. Muretti a secco. Come a Busachi, piccolo paese, poco più di 2000 persone, affidate più all'Inps che all'allevamento del bestiame e all'artigianato.

GLI AGGUATI Passa il tempo ma certe storie "nere" ritornano. Fatti datati ma non dimenticati, dove cambiano i nomi e non la tecnica. L'ultima croce, ieri, è stata segnata dal piombo sulle gambe e sul viso di Angelo Palmas, allevatore. Sia che si chiami faida oppure come certifica il sindaco Giovanni Orrù di "episodio ormai isolato", a Busachi ogni tanto ricompare la piovra che col tempo allunga i tentacoli anziché perderli.

IL CARCERE Ventidue anni fa, Angelo Palmas era finito in prigione insieme ai fratelli Tonino e Giuseppe Mele per l'omicidio di Cosimo Luigi Mele . Con quell'omicidio non c'entravano niente sentenziarono i giudici di primo e secondo grado e lo Stato risarcì Palmas per i 500 giorni trascorsi nell'hotel "mille sbarre", con 50 milioni di vecchie lire. Un anello comunque da aggiungere agli altri e che sembra allentare i sigilli che gli anni avevano messo nella catena dolorosa della faida busachese come allora passavano questi episodi di nera anche tra le file abbottonate degli inquirenti.

Di motivi per sposare la tesi ce n'erano tanti e tantissimi altri se ne aggiungevano in un intreccio di cognomi in copia, di parentele finite male e date persino difficili da abbinare ai fatti.

LE CROCI La "faida del Grighine" è inizia nel 1960 con l'uccisione di Antonio Caboni e del figlio di sei anni. Ma sono gli anni Ottanta e Novanta quelli più cruenti. Dall '84 al 2000 si contano sette morti ammazzati. L'11 settembre '84 viene ucciso nell'ovile mentre accudiva il bestiame Salvatorangelo Concudu e il 27 febbraio del '90 i killer fanno fuori Cosimo Sini . Una settimana dopo sfuggivano quasi miracolosamente alla morte Francesco Mele e Giovanni Caboni . A seguire è ancora un rosario di croci. Il 26 marzo del 92 sotto i colpi degli assassini cade fulminato Antonio Caboni . Il 26 giugno '94 viene assassinato Giovanni Antonio Mele , cugino di Cosimo Luigi Mele che aveva aperto quella tristissima stagione di morte e per il quale era stato accusato (innocente) proprio Angelo Palmas al quale i sicari ieri hanno riservato la stessa orribile sorte. Il 1999 registra la morte a colpi di fucile di Gino Mandra . Un anno dopo altro sangue bagna i sentieri e le campagne di quell'angolo di Sardegna che si affaccia sul lago Omodeo e domina la diga sul Tirso, la più grande d'Italia. Nel primo mattino del 5 luglio del 2000, a "Flumineddu", un rigagnolo che si butta sul Tirso «almeno tre persone» scrivevano gli inquirenti, esplodevano svariati colpi di fucile calibro 12 contro Giovanni Antonio Concudu , figlio di quel Salvatore Angelo ucciso anche lui a fucilate nell'84 e anche genero di Antonio Caboni, allevatore, assassinato il 26 marzo del 1992. Con Giovanni Antonio Concudu viene assassinato anche il servo pastore Martino Caboni , aveva 26 anni. I due non hanno scampo: morti ammazzati per sconfinamento di pascoli, si ipotizzava.

Un copione che si ripete, scritto col sangue. Una frase tira l'altra, dalle parole si passa ai fatti e ci scappa il morto. Storie su strade che puzzano di sangue e polvere nera. Come l'ultimo della triste serie. Faida o far west che sia.
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