Cosa trasforma tranquilli padri di famiglia, educate casalinghe, timidi studenti universitari in leoni da tastiera, dalla parolaccia facile e minaccia incorporata? La domanda non ha ancora trovato una risposta compiuta anche se molti cercato una spiegazione - non l'unica - nella rivisitazione del motto cartesiano "insulto dunque sono". Di base c'è sicuramente un senso di impunità che caratterizza un po' tutto il mondo del web. Tutto è virtuale: le amicizie, il lavoro, perfino il sesso, ecco perché su Facebook e Twitter ci si manda a quel paese con più leggerezza. E quasi sempre si scrivono cose che non si direbbero mai di persona. Il problema è che degli scritti rimane traccia, anche su Internet e quindi offendere qualcuno nascondendosi dietro un profilo di social network può essere considerato un reato. Diffamazione a mezzo stampa, esattamente come quella dei giornali. A fare da apripista è stata la storia di una ragazza livornese, che in preda alla rabbia dopo essere stata licenziata si è sfogata contro il suo datore di lavoro, straniero: «Sei un albanese di m...», frase che è valsa una condanna a una multa di mille euro più tremila di risarcimento danni al suo rivale. Nonostante gli incerti del mestiere, quello del commentatore sui social network e sui siti dei quotidiani on line è un lavoro che non conosce flessioni. Ecco una breve descrizione di profili.

IL CONTESTATORE Anche detto bastiancontrario della tastiera. Non è mai d'accordo con gli altri commentatori, ma non perché sia convinto di quel che scrive: lo fa per aizzare gli animi, solleticare la bile dell'interlocutore, probabilmente gode nel vederlo andare su tutte le furie. Tanto è difficile che arrivi un cazzotto attraverso lo schermo.

LA TRUPPA CAMMELLATA Supporters politici organizzati: dietro cinque, dieci, quindici account e profili Facebook si nascondono uno, al massimo due persone che muovono i fili e simulano un'opinione di massa. Nascono e si moltiplicano nei mesi che precedono le consultazioni elettorali, spariscono gradualmente dopo la chiusura delle urne. Pensano di spostare voti e di contribuire a formare le coscienze politiche. Pensano.

L'ULTRAS Si dedica principalmente al calcio. Al termine di ogni partita del Cagliari invia la sua tagliente pagella sulla prestazione dei giocatori. Critica Lopez come se avesse preso il patentino a Coverciano, dispensa consigli a Cellino sull'acquisto di nuovi difensori, cerca di fargli cambiare idea sulla vendita di Nainggolan, inutilmente. E sfotte. Gli juventini diventano automaticamente "rubentini". Prova piacere fisico nell'insultare e anche nell'essere insultato.

IL COMPLOTTISTA Vede cospirazioni ovunque. Crede che l'attentato delle Torri Gemelle sia una messa in scena. E ritiene che dietro la pubblicazione di ogni articolo sul giornale on line ci sia un fine oscuro. Per favorire questo o quello. Oppure per affossarlo. "Ma io vi ho smascherato". Certo.

L'INCONTINENTE Commenta qualsiasi cosa e va ben oltre i canonici 140 caratteri di Twitter. E siccome la maggior parte dei quotidiani on line impone una lunghezza massima agli interventi, è costretto a dividere in tre o quattro parti il suo pensiero. È sfacciatamente tuttologo: per lui parlare del Jobs act di Renzi o della mania dei selfie su Instagram non fa differenza.

IL CACCIATORE DI SCALPI Nel suo mirino ci sono solo i personaggi famosi. È un "troll" di professione e passa la giornata a scrivere sui profili della star. Se qualcuno risponde, stampa la pagina web e la porta in trionfo sulla propria bacheca.

CHISSENEFREGA Melissa Satta è incinta? «Ma chi se ne importa, non avete niente di meglio da pubblicare?». Ogni giornale ha le sue notizie più leggere, quelle di gossip. E i quotidiani del web non fanno differenza, ma qui i lettori possono criticare direttamente. Peccato che Google analytics smentisca i commentatori: sono questi gli articoli più letti,anche sul web.

L'AFFETTUOSO Stringe amicizie nei forum. Tanto che alla fine diventano un mezzo per comunicare con gli altri colleghi di tastiera. "Rosella81! Da quanto tempo, che fine avevi fatto?". Ma un caffè al bar, no?

Michele Ruffi

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