In un armadio negli uffici del comune di Olbia ci sono 1.400 pratiche che stanno lì da 30 anni, senza che alcuna amministrazione che ha governato la città, di qualunque colore politico, abbia sentito la necessità di affrontare e definire la questione: sono i condoni che la burocrazia definisce "congelati", cioè in attesa di sapere se l'abuso può essere sanato o deve essere abbattuto. E così intere abitazioni sorte abusivamente, alcune costruite negli alvei di fiumi e torrenti, sono ancora dove non dovrebbero essere.

La storia inizia con il condono del 1984 e viene alimentata da altre due sanatorie, quella del 1995 e quella del 2004: quando la giunta guidata da Gianni Giovanelli si insedia nel 2011 trova oltre 1.400 pratiche inevase, un migliaio circa relative al condono più antico, quello di trent'anni fa, e altre quattrocento divise equamente tra il 1995 e il 2004. Non tutte le richieste di sanatoria riguardano abitazioni intere: ci sono abusi minori come verande, tettoie, garage. Ma molte sì e si tratta di case sparse un po' su tutto il territorio della provincia, in centro città come in periferia, in campagna come lungo le coste. Il sindaco crea così una task force che, parola dei tecnici comunali, ha il compito di "aggredire la mole di condoni edilizi giacenti".

Ma passati due anni non è che le cose siano cambiate di molto: delle 1.400 richieste che erano nei cassetti, ne sono state definite non più di duecento tra quelle chiuse positivamente con la "concessione in sanatoria" e quelle a cui invece è stato espresso parere di "diniego". Il che significa che l'abuso non può essere sanato e deve essere abbattuto. Ci sono poi diverse pratiche per le quali l'iter è quasi giunto al termine, tra cui una decina che riguardano interventi effettuati in aree che ricadono in zone a rischio idrogeologico inserite nel Pai, il Piano assetto idrogeologico approvato nel 2006 e che, dunque, non potranno essere sanate. Per altre ancora è stato inviato ai proprietari un "preavviso di diniego" ma se forniranno la documentazione richiesta la pratica andrebbe ancora avanti. In ogni caso, fino ad oggi, non un abuso di quelli che dovevano essere demoliti, è stato abbattuto.

L'ordinanza di demolizione è invece stata emessa dal Comune per un centinaio di immobili ma il proprietario, trascorsi 90 giorni, non ha ottemperato al provvedimento amministrativo. Così i beni sono diventati di proprietà del Comune e spetta al Consiglio comunale, valutato che non sussistano vincoli ambientali o paesaggistici, stabilire quali tenere (definendone prima la finalità) e quali demolire, dopo aver bandito una regolare gara d'appalto. Il Consiglio comunale, però, non si è ancora riunito per affrontare la questione e dunque, anche in questo caso, tutto è fermo e i beni da demolire sono ancora lì. In comune dicono che se le domande di condono sono "perfette", l'iter è piuttosto celere.

E per dimostrarlo portano ad esempio i lavori eseguiti da Silvio Berlusconi a Villa Certosa. Nel maggio del 2004 la Forestale accertò che nella residenza dell'ex premier erano stati commessi una serie di abusi: fu aperta un'inchiesta dalla procura di Tempio e in brevissimo tempo gli architetti presentarono una decina di domande di richieste di concessione in sanatoria, tutte approvate dal Comune di Olbia con il visto dell'Ufficio di tutela del paesaggio di Sassari. Idra immobiliare, proprietaria di Villa Certosa, avrebbe versato attorno ai 200mila euro per sanare la situazione che riguardava, tra l'altro, i campi da tennis, l'agrumeto, il giardino dei cactus, il lago artificiale per i prelievi antincendio, l'impianto di talassoterapia, una casermetta, una torretta.
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