Narrano, nei mari del mondo, le avventure del comandante Camedda. Impavido pilota rimorchiatore nelle Bocche di Bonifacio, ha compiuto tra i più memorabili salvataggi della storia, trovando e manovrando ogni sorta di vascello in avaria. Con il suo coraggio ha salvato più di 600 vite, è diventato ricco e famoso, ed è stato premiato da ministri e presidenti della Repubblica con 42 onorificenze, medaglie d'oro e titoli illustri della Repubblica italiana e di altri paesi dei quali ha salvato tante anime.

TUTTO PERDUTO - Sarebbe bello che le storie di questi singolari personaggi che si sono sacrificati per salvare le vite altrui avessero sempre un lieto fine. E invece questo eroe del '900 invoca quel Signore che l'ha protetto in mille avventure per capire che punizione sia mai quella nella quale vive ora.

La tempesta più difficile è arrivata a 78 anni, dopo due infarti e due ictus, e una piccola pensione che "a mala pena basta per pagarmi le cure". Nella stanzetta della casa popolare nella quale è stato ospitato dalla sua nuova moglie, sorride tanto raccontando le sue imprese, e piange ancor di più, commosso e afflitto dal dolore. Per quel patrimonio perso, ora al centro di un contenzioso con la famiglia. "Non ho più né una casa in cui vivere, né i soldi, né le opere d'arte, né il pianoforte. Non ho più nulla", dice il comandante Giovanni Camedda.

LA SPERANZA - Eppure oggi il comandante Camedda, originario di Cabras, appare più come il biblico Giona, che dalla pancia del grande pesce che l'ha inghiottito invoca la sua preghiera: "Rivorrei almeno una casa", dice, o la vita degna dell'eroe che fu. Con la speranza che il suo sos arrivi a quei 600 naufraghi salvati da questo sardo, il quale con valori ormai desueti ha costruito la sua leggenda.

LE IMPRESE - "Paura? Non ne ho mai avuta", racconta oggi nella sua casa di Sassari. "Stringevo il rosario tra le mani prima di partire e nei momenti più difficili chiedevo aiuto al cielo: mi ha sempre ascoltato". Era solo un contadino, quando l'armatore Achille Onorato lo trovò e vide in lui il fiuto del lupo di mare. "Non ho mai saputo nuotare", confessa, "ma in fondo a che serviva nuotare con quelle onde alte come montagne?". Una volta le acque erano così terribili, davanti all'Asinara, che cercò di portare la nave rimorchiata prima ad Oristano, e poi a Cagliari. "Ma nulla. Anche lì col mare forza 10 era impossibile avvicinarci alla costa. Siamo arrivati fino ad Hammamet stremati, senza acqua né cibo. Due elicotteri vennero in soccorso lanciandoci due sacchi di viveri, ma non riuscimmo a prenderne neanche uno". Era uno di quei giorni in cui la vita sembrava finita. Poi arrivava il colpo di genio, il comandante faceva la sua manovra e portava tutti in salvo. "Come facevo? Non lo so", risponde.

RISCHI E RICCHEZZA - "Per salvare la nave Santa Marina si ruppero cinque cavi, tanto che sembrava destinata ormai a infrangersi tra gli scogli. Dopo sette tentativi riuscii finalmente ad agganciarla e la portammo via". Col bottino. Perché ogni volta che il comandante Camedda salvava una nave, il diritto del mare era a lui riconoscente: il carico diventava suo, sia pure indirettamente. Il che significava accumulare tanti soldi, salvataggio dopo salvataggio. E di storie ne avrebbe centinaia, il comandante. E forse ha ancora voglia di raccontarle. Magari nelle scuole, all'ora di epica in cui si insegna il suo coraggio, la freddezza, l'altruismo, l'intuito, la bontà. In sostanza cosa sia oggi la virtù.

"Ho sempre fatto tutto con semplicità, mi sentivo una persona normale. Sapevo che c'era qualcuno che pensava a me. Ma adesso?".

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