Ha preso il via oggi, a Udine, il processo che vede imputato Giosuè Ruotolo, il militare accusato di aver ucciso il collega Trifone Ragone e la sua fidanzata Teresa Costanza.

La coppia è stata ammazzata il 17 marzo 2015 a Pordenone, davanti al palazzetto dello sport, a colpi di pistola.

In aula, oltre all'imputato - che ha chiesto e ottenuto di non essere ripreso dalle telecamere -, ci sono anche i genitori delle due vittime.

Secondo l'accusa, Ruotolo si trovava sulla scena del delitto al momento degli spari: il passaggio della sua auto nella zona del palazzetto è documentata dai filmati delle telecamere.

La sua posizione, ha detto l'avvocato della famiglia di Trifone, "si è notevolmente aggravata", in quanto "si ha ormai la certezza che i messaggi molesti verso Teresa siano stati inviati da postazioni appartenenti alla caserma dove lavorava Giosuè che, nei giorni in cui sono stati inviati, si trovava al lavoro".

"Il cerchio si chiude intorno all’imputato - ha detto il legale - che farebbe bene a confessare, visto che ormai tutto porta verso la sua colpevolezza. Manca solo scoprire dove e quando si è procurato la pistola, e poi per il resto ormai tutto è chiaro".

Di parere opposto, ovviamente, la difesa: uno degli avvocati di Ruotolo, Roberto Rigorni Stern, ha ricordato l'esistenza di piste alternative che sono state scartate dalla Procura e non approfondite.

Giosuè, secondo la tesi difensiva, sarebbe andato via dalla palestra prima del duplice delitto e non avrebbe avuto motivo per uccidere i due giovani.

"Nessuno vede Giosuè nel momento in cui viene commesso il delitto. Ecco perché siamo convinti della sua estraneità ai fatti contestati", ha concluso Rigoni Stern.
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