"Sentivo urla, disumane, di dolore, disperazione. Quelle grida non si dimenticano, restano dentro. Le risento non appena chiudo gli occhi". Accanto al suo letto, in terapia semintensiva del Santissima Trinità, c'era Signor Luciano, che ripeteva di continuo "porca vacca, porca vacca". Lui è morto, Lilli Mura, 61 anni, amministrativa dell'Azienda ospedaliero-universitaria e nessuna patologia pregressa, dopo essere sprofondata nell'inferno Covid, cerca di riprendersi la sua vita. "Ho il dovere di parlare, di dare voce ai tanti malati che lottano contro il Coronavirus, di dare voce a signor Luciano e a tutti coloro che non ci sono più. A chi minimizza, a chi nega, a chi dice che è solo un'influenza, voglio raccontare cosa significa ammalarsi di Covid. È una malattia terribile, che distrugge fisicamente, ti devasta". Ha la voce affannata, il cellulare poggiato sulla gamba, ("non ho la forza per reggerlo in mano") e immagini indelebili dei giorni trascorsi in ospedale, con l'ossigeno, a lottare con dolori insopportabili. "Ho sentito pianti, suppliche, imprecazioni, e gli anziani che invocavano la mamma", racconta. "Non provate a dirmi che non è così drammatico, che è un complotto delle multinazionali della mascherina, perché allora, quando finalmente sarò guarita, sarò io a venirvi a cercare". Il peggio per Lilli sembra passato, è ancora positiva sintomatica, non sente sapori, gusti, è debole, provata. Sul corpo e nel cuore i segni indelebili della malattia: "Quel coro ininterrotto di disperazione, terrore e smarrimento lo sento di continuo, non appena chiudo gli occhi. È uno dei rumori di fondo che non dimenticherò mai, insieme alle porte del carcere che si chiudevano alle mie spalle quando facevo la volontaria". Tossisce. "Per favore, a chi continua a minimizzare e a dire che tanto è soltanto un'influenza, dia pure il mio numero di cellulare. Sono pronta a spogliarmi nuda per far vedere cosa significa davvero ammalarsi di Coronavirus".
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