Il malcontento del capoluogo sardo da oggi in regime di semi-lockdown è composto e battezzato dalla pioggia. Non ci sono disordini in piazza come a Napoli, Terni, Catania o Verona; niente fumogeni né risse, men che meno forze dell'ordine a regolare il disordine. Che non c'è. C'è solo un silenzio irreale e inquietante che avvolge i luoghi culto della movida - vietata dalle 18 -, rotto da un grido che s'alza nel tardo pomeriggio. "Se non ci uccide il Coronavirus ci ammazza lo Stato".

È come una litania, che riecheggia in ogni angolo della città rinchiusa un'altra volta. Seppure a metà. Titolari di bar e ristoratori, due delle categorie colpite al cuore dal nuovo Decreto, fanno i conti con i mancati guadagni. Qualcuno preannuncia un meno settanta per cento, altri raccontano di aver già provveduto a mettere cinquanta dipendenti in cassa integrazione. Proteste che rimbombano tra le strade svuotate e quasi spettrali. Il Largo, Corso Vittorio Emanuele, via Garibaldi, via Manno, le stradine della Marina, piazza Yenne: silenzio, silenzio ovunque.

Sembra quasi una resa. Ma c'è anche chi ha deciso di combattere "Tanto non ci ammazzate neanche stavolta", Roberto Cinus, titolare di Crackers l'ha voluto scrivere all'ingresso. "È una tragedia, ma non mi rassegno. Siamo in guerra? Combattiamo".
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