Sempre più bravi a differenziare ma sempre più tartassati: in tanti Comuni del Sud Sardegna la Tari aumenta. Eppure i sardi, ormai, lo sanno a memoria: da una parte la plastica, da un’altra il vetro; lì carta e cartone, qui l’organico e, infine, la frazione secca. Quest’ultima, contrariamente alle altre categorie di rifiuti, non viene riciclata ma finisce o nel forno del Tecnocasic a Macchiareddu, dove l’anno scorso sono state bruciate e trasformate in energia 24.251 tonnellate di immondizia al prezzo di 199,99 euro a tonnellata, oppure nella discarica del Consorzio industriale di Villacidro (42.786 tonnellate smaltite nel 2024), soluzione più economica (116,68 euro a tonnellata) ma più inquinante.
La Sardegna è ormai stabilmente fra le Regioni più virtuose d’Italia, e fra i Comuni della vecchia Provincia di Cagliari, sottolinea l’amministratore unico del Tecnocasic, Sandro Anedda, «sono pochissimi, direi residuali, quelli che non riescono a raggiungere le premialità», ovvero gli sconti fissati dalla Regione per chi differenzia almeno l’80 per cento dei propri rifiuti e, quindi, produce meno residuo secco. Nel viaggio in tre puntate nel mondo dei rifiuti che comincia oggi, scopriremo che gli aumenti della Tari non dipendono dai costi di smaltimento ma da quelli di gestione: differenziare fa bene all’ambiente ma il ritiro porta a porta costa caro.
Le lamentele
Rapida rassegna stampa degli ultimi mesi: rincari, proteste e polemiche a Villasor (più 20 euro), Gonnosfanadiga (da 20 a 60) e San Gavino (dove la minoranza denuncia aumenti e la maggioranza li nega). Malumori anche a Ussana , uno dei pochi Comuni campidanesi che non hanno centrato l’obiettivo dell’80 per cento di differenziazione: risultato, niente premialità e, di conseguenza, Tari più cara di 100 euro l’anno in media. Un caso limite è Arbus , dove il nuovo regolamento del Comune prevedeva per alcune categorie picchi del +196 per cento, mitigati dopo che la minoranza ha presentato una denuncia alla Corte dei conti segnalando profili di illegittimità.
Poi c’è Assemini , dove i cittadini (fra i più virtuosi nel differenziare) segnalano rincari dal 5 al 20%. «Tutto sommato non ci sono stati aumenti», ha minimizzato qualche settimana fa il sindaco Mario Puddu. Tuttavia, bollette alla mano, il consigliere d’opposizione Diego Corrias fa notare che ad Assemini una famiglia di quattro persone che vive in 73 metri quadri un anno fa pagava 317 euro, quest’anno 327 (+3%), mentre un’attività commerciale con 90 metri quadri di superficie è passata da 468 euro a 480 (+2,5%).
A Capoterra quest’anno le quote sono salite del 3 per cento. Il sindaco Beniamino Garau ha sottolineato che con la Giunta precedente si spendeva di più. Vero. Però a Capoterra, ha evidenziato il consigliere Stefano Piano, ex presidente del Consiglio comunale, per una casa da 100 metri quadri con tre persone si paga una Tari di 341 euro, contro i 171 della confinante Pula. Per un ristorante con 100 metri quadri di superficie, a Capoterra il conto è di 1.785 euro: a Pula ne bastano 974.
Il peso dei servizi accessori
«Entrambi i Comuni sono costituiti da un centro matrice e lottizzazioni anche molto distanti – rimarca Piano – per cui mezzi e squadre debbano fare parecchi chilometri». Stessa situazione, stessa destinazione dei rifiuti: le quote riciclabili vanno verso le ditte specializzate per essere restituite a nuova vita, l’indifferenziato va al Tecnocasic, dove i costi sono uguali per tutti. Come si spiegano le differenze? «A incidere – ragiona Piano – sono i servizi accessori previsti nel singolo appalto, anche quando vengono erogati in maniera quantomeno sporadica. A Capoterra, per esempio, la ditta dovrebbe fornire, fra l’altro, anche lo spazzamento meccanico delle strade, per il quale i cittadini pagano un costo». Dimmi che appalto fai e ti dirò quanto spendi.
(1 – continua)
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