L’autrice di “Qualcosa che brilla” ospite su Videolina

«Miei cari genitori, siate credibili con i vostri figli» 

La solitudine dei giovani e la distanza con gli adulti: parla Michela Marzano 

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Otto adolescenti. Storie di ragazzi e ragazze, invisibili e inascoltati. Ferite, disagio, fragilità. Michela Marzano, scrittrice e ordinaria di filosofia morale all’Università Paris-Cité, nel suo ultimo romanzo, “Qualcosa che brilla”, affronta la solitudine dei giovani e la distanza degli adulti. Ci avvisa su sintomi e disturbi: «Attenti, lì c’è la storia di ognuno». Anche quella dell’autrice, con i suoi sintomi “attraversati”.

Otto storie che in famiglia cadono nel vuoto.

«Dopo i vari lockdown i ragazzi avevano bisogno di essere accolti. Il problema non era la scuola a distanza, ma la mancanza di relazioni tra loro. E così si confrontati solo con i propri genitori. Che invece di illuminare le angosce, hanno fatto finta che tutto andasse bene. Mentendo a sé stessi e ai figli».

Problema respinto o incompreso?

«Quando i giovani hanno disagi, ansia, dipendenze da sostanze, non parlano. Perché hanno la certezza che qualunque cosa dicano scivolerà addosso agli adulti. Che invece devono guardarli, fare spazio alla loro “alterità”».

Tanto c’è lo psicanalista…

«E il tentativo di “catalogare”. Quando c’è un disagio o un sintomo i ragazzi si trovano “catalogati”. Sei anoressica, sei schizofrenico . Ed ecco l’etichetta: i sintomi vengono letti come una malattia».

Ma nel romanzo il dottor Rolli va controcorrente.

«Lui insiste su questo: i sintomi non sono una malattia. I nostri ragazzi non hanno bisogno di essere sedati con i farmaci che cancellano i sintomi. Perché i sintomi vanno letti».

Lo ricorda all’inizio del romanzo. Citazione profonda.

«Di Clive Staples Lewis, un grande scrittore per bambini. Nel suo “Diario di un dolore”, che scrive quando perde la moglie, dice: La sofferenza non è mai uno stato, ma una storia, una storia da raccontare ».

E il dottor Rolli vuole ascoltarla.

«Lascia l’ospedale psichiatrico e apre un centro interdisciplinare. Costruisce dei “gruppi di parola”: i ragazzi dialogano e piano piano raccontano quello che c'è dietro i loro sintomi».

Terapia della parola e dell’ascolto.

«I nostri ragazzi non sono “rotti”. Non c’è qualcosa da aggiustare. Intendiamoci, ci sono sintomi gravissimi. I disturbi del comportamento alimentare possono portare alla morte, ve lo dice una che li ha attraversati. Ma quando io, adolescente, venni etichettata come anoressica, sentivo che qualcosa non andava. Io ero altro».

Il nostro dottor Rolli mette in guardia i genitori.

«In pratica dice: Attenzione, ci sono dinamiche tossiche all'interno della famiglia e probabilmente i vostri figli vi stanno raccontando ciò che in voi non va ».

In Italia si trova questa capacità di ascolto?

«Purtroppo c’è ancora la tendenza a sbatterti negli ospedali psichiatrici. Spesso, anche in tv, si sentono professoroni che parlano di adolescenti che non conoscono. Secondo una clinica che risale a trent’anni fa. Ma i bravi professionisti ci sono. Ascoltano i ragazzi e sanno bene che sono sintomi dei loro genitori».

Assenti o indifferenti…

«Pensi che ho incontrato in una scuola un ragazzino quattordicenne che mi ha detto: Ho chiesto a chat GPT perché mi sento solo. E gli ho chiesto la soluzione . Ecco che cosa accade».

Gli otto giovani del romanzo riescono ad aprirsi. Ma fuori casa.

«Ho due messaggi per i genitori. Il primo: ascoltate i ragazzi soprattutto quando tacciono. Perché le cose non sono come appaiono. Il secondo: siate credibili. Se dite una cosa, fatela. I giovani non credono alle parole che non corrispondono ai gesti. È un problema di autorevolezza, loro soffrono e a pagano il costo».

Ha scritto che gli adolescenti hanno bisogno di eroi.

«Sì, ma se siamo credibili riusciamo a ottenere il risultato. Essere eroi non vuol dire essere perfetti. I ragazzi hanno bisogno di potersi fidare. È essenziale per crescere e costruirsi una propria identità autentica».

E stare meglio, allontanare i sintomi.

«I sintomi sono lì per dire che io non riesco a capire chi sono. Se tu non mi aiuti essendo autentico, essendo te stesso, io non ci riuscirò mai».

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