La storia

Il poeta della difesa: «I miei versi per la sarda mater» 

Dopo aver calcato i campi di calcio, Sergio Atzeni e Mario Luzi gli hanno cambiato la vita: «Scrivo per capire» 

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Da Virdis e Zola a Mario Luzi il passo può essere molto breve: la poesia, che si scriva su un libro o la si manifesti in campo con il pallone tra i piedi, è sempre una forma d’arte che dà emozione. E chi è stato un difensore tenace ma anche molto elegante in campo, oggi sale sul palco di Guasila, dove è stato premiato durante il Festival dell’Altrove, oppure su quello di PordenoneLegge (la città friulana che lo ha accolto) per recitare con la stessa classe e raffinatezza versi che vengono dall’anima, dal suo io più intimo e che raccontano la provenienza, «il vissuto e la sarda mater».

Scrivere

Luigi Natale, classe 1957, ex calciatore professionista, originario di Orotelli, ha superato il timore che imponeva uno status altezzoso agli “dei di Eupalla", così Brera definiva i giocatori, per avere piena coscienza della sua arte, del suo voler scrivere appunto «per capire». I silenzi da vero barbaricino colpirono Mario Luzi, uno dei grandi del Novecento: «Gli piaceva molto questo passare anche ore senza una parola che contraddistingueva i nostri incontri, a Firenze», racconta oggi Natale. L’ardire di consegnare qualche testo scritto a Luzi ha regalato all’ex calciatore l’ingresso nella cerchia del poeta e anche il coraggio di rendere la poesia un modo di comunicare con il resto del pianeta, dopo anni trascorsi prima a dare calci a un pallone e poi a osservare coloro che arrivavano al “football” con l’idea di costruire una carriera. «Per alcuni decenni sono stato lontano da quel mondo, non ho visto una partita, fino a riavvicinarmi quando il Pordenone è andato in B e grazie anche alla conoscenza e all’amicizia con Andrea Carnevale», racconta.

La carriera

Tornando indietro, si rivedono i campi polverosi di Orotelli e l’arrivo a Nuoro, non ancora maggiorenne, in una squadra che militava nell’allora Serie D semiprofessionistica, con un presidente, Fulvio Bonaccorsi, e molti calciatori che hanno fatto la storia della società verdazzurra. «Nel 1972 nelle giovanili trovai allenatori come Genesio Sogus, Zomeddu Mele, Ottorino Cusma, poi due anni più tardi la prima squadra con Mingioni, Chicco Piras, i fratelli Picconi, Solinas, Motti, Napoli, Di Bernardo, Virdis e Gentile», ricorda. Il Quadrivio si riempiva, «5-6000 persone ogni domenica», una festa. E quel giovane che era stato convocato in Nazionale Under 18 («non mi rendevo conto di cosa volesse dire, rientravo a Nuoro e andavo a giocare al torneo dei Bar a Ottana, finché non me lo disse anche Gigi Riva: “Sei stato in Nazionale”») approda poi al Cagliari nella squadra che vince il campionato di B, con Marchetti, Gigi Piras, Casagrande.

Il girovagare per l’Italia a quel punto diventa quasi normale: Mantova, Livorno, Torres, ancora Nuorese e poi Rende. Per poi stabilirsi a Pordenone dove l’amore incontrato un’estate in Sardegna diventa «la sposa» con cui condividere anche la passione per la letteratura, emersa peraltro già in tenera età: «La maestra Lia Zoppi, dopo aver letto un mio pensierino in prima elementare, rimase colpita e anni più tardi mi rivelò che aveva capito questa mia attitudine».

L’incontro

Poi però c’è stata un’altra spinta decisiva: «Chi mi ha convinto a scrivere e a farlo senza timore è stato un grande tifoso rossoblù che io ho incontrato proprio quando militavo nel Cagliari e a cui, quasi di nascosto, feci vedere i miei scritti: si chiamava Sergio Atzeni». Così la classe del libero che portava la palla fuori dall’area si è trasformata in versi che edizione dopo edizione (Ospite del tempo, 1998; Il telaio dell’ombra, 2001, con Prologo di Mario Luzi; Orizzonti sottili, 2005; L’orlo del mondo, 2012; Il mare che aspetta, 2018; La terra del miele, racconti di Sardegna ed altri mari, 2014 e Neve vento sassi, 2024, per citarne alcuni) parlano della sua terra, del suo vissuto e «dell’amore per la vita, alla ricerca della bellezza. La poesia sfida la banalità e il pensiero unico. L’arte è prossima e vicina alla natura umana», bisogna farla emergere. I grandi poeti della nostra epoca diventano esempi per chi vuole con la poesia «custodire ciò che ci rende umani», amare la vita e imparare a conoscerla attraverso la scrittura. Fino a raccontare la sua arte sul palco di PordenoneLegge o del Festival dell’Altrove di Guasila. Non alza più una coppa, ma declama un verso, elevando le parole al dio della poesia Apollo, prima che i ricordi del Quadrivio e del Sant’Elia prendano di nuovo il sopravvento.

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