Con la fine dell’anno è naturale tirare le somme della stagione estiva, i cui dati offrono un’immagine che appare rassicurante. Le coste, le città d’arte e i borghi si animano di turisti, soprattutto stranieri, mentre le famiglie italiane modificano le proprie abitudini alimentando il dibattito sui cambiamenti di abitudini e lo stato dell’economia reale. In Sardegna questa tendenza risulta ancora più evidente. L’isola registra flussi record di visitatori internazionali e gli aeroporti accolgono milioni di passeggeri, dalle compagnie low cost all’aviazione generale, con livelli di servizio ormai in linea con gli standard internazionali. Dietro questo successo stagionale, tuttavia, vi sono tre nodi profondi che da anni frenano il Paese e che in Sardegna risultano drammaticamente amplificati.

La prima questione riguarda salari e produttività. L’Italia continua a generare occupazione, ma la produttività resta ferma e il potere d’acquisto è stagnante. Lavorano più persone, spesso con contratti stabili, ma la ricchezza che si produce non cresce abbastanza per sostenere aumenti salariali reali tali da consentire una vera ripresa dei consumi. In un sistema dominato da piccole e microimprese con scarsi investimenti in tecnologie e digitale affidarsi al turismo e alla ricettività come unica fonte di reddito significa puntare su servizi stagionali a basso valore aggiunto che non garantiscono stabilità.

In Sardegna questo modello mostra tutti i suoi limiti. Nonostante numeri turistici senza precedenti, l’economia dell’Isola resta fragile e fortemente dipendente da pochi mesi l’anno. A più di cinquant’anni dai primi tentativi di destagionalizzazione si può dire che la sfida, se mai affrontata seriamente, non abbia prodotto risultati concreti. Nel dibattito pubblico riemerge spesso la proposta di ridurre il costo del lavoro come correttivo immediato, ma questi interventi non cambiano la struttura dell’economia e non favoriscono investimenti in innovazione e formazione.

Il secondo nodo riguarda la demografia e il drammatico declino della base sociale e produttiva. L’Italia invecchia rapidamente e la quota di popolazione in età attiva si restringe. La Sardegna oggi rappresenta il caso più estremo anche per le sue peculiarità geografiche. Il tasso di fecondità è tra i più bassi d’Europa e molte giovani coppie non faranno mai figli. Nei piccoli comuni si assiste a un lento spopolamento nonostante i crescenti incentivi e bonus nazionali o regionali. Facile immaginare come le conseguenze su sanità e servizi pubblici, non all’altezza in condizioni normali, si facciano già sentire.Per affrontare questo problema le nuove tecnologie offrono strumenti inesplorati come telemedicina, automazione dei servizi a partire dalla PA in attesa dell’arrivo messianico dell’intelligenza artificiale. Tuttavia, per questo servono competenze e formazione tecnico-scientifica dei lavoratori che l’Italia e la Sardegna fatica a generare.

Gli ITS, percorsi post-diploma dedicati alla formazione tecnica avanzata, e gli istituti tecnici, che offrono una preparazione tecnico-professionale già durante le scuole superiori, restano poco valorizzati, mentre l’università continua a formare pochi laureati nelle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica).

Il terzo nodo riguarda la capacità degli enti locali di gestire le trasformazioni che ogni giorno tediano il cittadino alle prese con i disagi della macchina burocratica. Regioni e comuni sono chiamati a spendere bene le risorse disponibili per infrastrutture fisiche e digitali, così da offrire un vero contrasto allo spopolamento. Molti enti locali, tuttavia, si trovano senza il personale tecnico richiesto e hanno strutture inadeguate a gestire progetti complessi per problemi che non è errato definire esistenziali. In Sardegna questo si traduce in una sanità territoriale debole, grandi infrastrutture ferme e servizi mancanti o inferiori a standard accettabili.

Il risultato è paradossale. Un’isola che attira turismo internazionale di qualità, nei segmenti premium, ma fatica a offrire opportunità concrete a chi ci vive tutto l’anno. Smentire le prefiche del declino è ancora possibile. L’innovazione tecnologica delle imprese e un rafforzamento delle amministrazioni locali possono rappresentare strumenti reali di cambiamento e sono i più efficaci per compensare gli effetti dell’insularità. Alcune filiere industriali e turistiche di qualità già attive in Sardegna mostrano che è possibile costruire percorsi sostenibili creando ricchezza e rispettando l’ambiente. Serve però una scelta forte e decisa che punti su produttività del lavoro e formazione per attrarre investitori esteri, che non devono fermarsi alla sola sagoma dell’ombrellone.

Giovanni Maria Chessa

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