M e tterci la faccia è un’espressione molto banale, logorata dalla politica e dal giornalismo, però c’è un episodio che sembra ridarle linfa: la manifestazione delle afgane contro i propri diritti. Non è la prima volta che delle vittime vengono plagiate o forzate a favore dei carcerieri: conosciamo la sindrome di Stoccolma, non ci stupirà quella di Kabul. L’elemento interessante quindi non è l’abiura di trecento donne a ruoli pubblici e parità di genere, ma che l’abbiano espressa con un corteo e che abbiano marciato velate fino agli occhi o blindate dal burqa. Hanno compiuto un gesto politico per rinunciare alla propria capacità politica. Hanno messo la faccia in una battaglia per negare la propria faccia. Altro elemento interessante: i talebani di 20 anni fa non le avrebbero fatte sfilare, anche perché un’opinione pubblica nell’Emirato non ha spazio e senza un’opinione pubblica i cortei hanno poco senso. Oggi però è l’opinione pubblica mondiale a guardare i talebani, e loro in qualche modo si lasciano guardare: danno interviste, occupano le tv ma non vietano il telegiornale. Sono diventati telebani, insomma. E dai corto circuiti spesso nascono cose interessanti. Chissà che questa schizofrenia, convocare in piazza dei soggetti perché neghino di essere tali, fra cinque o dieci anni e fra mille dirette tv oppure social non diventi un granello nei meccanismi del regime.

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