Surreale. Irreale. Paradossale. Gli aggettivi si sprecano: mentre l'intero mondo dello sport (e non solo quello) si è fermato di fronte all'emergenza scoppiata con la diffusione del coronavirus, c'è una disciplina che continua a far finta di nulla, a manifestarsi tra la gente come se nulla fosse.

E' la boxe, che continua a tirare pugni e mischiare sudore (e si spero solo quello e non anche il Covid 19). Succede a Londra, dove le nazionali europee sono impegnate nel primo appuntamento che mette in palio i pass per i giochi olimpici di Tokyo, in programma (pe ora) tra la luglio e agosto.

Alla Copper Arena, nella capitale britannica, la boxe in canottiera si sta giocando i posti per Tokyo. Sabato scorso ha combattuto, tra gli altri, il peso mosca di Quartu Sant'Elena Manuel Cappai. Ha perso l'allievo di papà Fabrizio, numero 5 del mondo tra i pesi mosca. Mentre il pezzo da novanta della spedizione azzurra, Clemente Russo, argento a Pechino 2008 e Londra 2012, non è neppure salito sul ring, bloccato da un'indigestione. Entrambi, Cappai e Russo, potranno riprovarci a maggio, quando a Parigi si svolgerà (forse) l'ultimo torneo di prequalificazione per i pugili europei.

Al di là dell'aspetto sportivo, quello che ha fatto saltare sulla sedia è stato vedere che tutto si è svolto in un clima surreale. I pugili hanno combattuto di fronte a migliaia di appassionati che hanno affollato lo stadio. Persone ammassate sugli spalti, senza nessuna prevenzione, la mascherina per il viso, per esempio, né il rispetto di quel metro di distanza gli uni dagli altri che è necessario a proteggerci. Non solo. Se il mantra della lotta alla pandemia scatenata dalla diffusione del coronavirus è quello di evitare contatti tra le persone, è assurdo che sia stato consentito lo svolgimento di uno sport, il pugilato appunto, che fa del contatto fisico la sua caratteristica principale.

Eppure, come se nulla stesse accadendo, il Cio, il Comitato olimpico internazionale, che in questa fase di "commissariamento" della boxe dall'Aiba guida il movimento a livello mondiale, non ha mosso una foglia. A dare un segnale ci ha pensato però la Federboxe che, attraverso il vicepresidente D'ambrosi, ha spiegato che mentre "imperversa una pandemia nel mondo, i vertici del movimento sportivo internazionale fanno finta di non accorgersi della gravità della situazione, come se fossero distaccati spettatori di un semplice evento teatrale". Così, quindi, "mentre il Cio naviga a vista, le varie manifestazioni internazionali - che hanno una valenza ai fini della qualificazione olimpica - prendono ciascuna una strada diversa", aggiunge. Risultato: "In questo marasma, mentre divampa in Europa l'epidemia, il torneo continentale europeo organizzato a Londra si celebra regolarmente come se nulla fosse".

La scelta di far combattere i pugili dipende, infatti, esclusivamente dal Cio e dal Governo del Paese che ospita il torneo: questo spiega perché, per esempio, il torneo di qualificazione di Buenos Aires è stato annullato mentre a Londra la manifestazione va avanti nell'indifferenza generale. D'altronde, che la preoccupazione fosse reale lo hanno detto gli stessi protagonisti del ring. Clemente Russo, per esempio, subito dopo il sorteggio di venerdì scorso che vedeva opposto all'idolo di casa Frazer Clarke, aveva avanzato dubbi, auspicando che il suo avversario non avesse il virus. Qualcuno, magari, dirà che gli atleti, prima di salire sul ring, vengono sottoposti a controlli sanitari e a ognuno viene misurata la temperatura corporea. Ma chi sostiene questa tesi per giustificare la bontà della scelta del Cio su Londra ignora l'allarme che da settimane ormai stanno lanciando gli esperti di tutto il mondo: una persona potrebbe non manifestare i sintomi in un momento e avere comunque il virus in incubazione.

Per evitare di ritrovarsi incastrati nel blocco delle frontiere, Cappai e gli altri pugili della spedizione azzurra guidata da ct Giulio Coletta sono arrivati a Londra il 3 marzo, costringendoli a "cimentarsi in una qualificazione che ormai appare una tragicomica teatrale con un finale - i Giochi olimpici di Tokyo - sempre più imprevedibile e distante dall'essere quel momento sportivo, tanto atteso, che premia i più forti selezionati con regole e criteri omogenei", ha concludo il vicepresidente della Federazione italiana pugilato.
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