Ci sono partite che un tifoso non può esorcizzare, che uno sportivo non può capire, razionalizzare. Il cui risultato sfugge ad ogni spiegazione o considerazione tecnico-tattica e diventa frutto di una serie di congiunzioni astrali contro cui c'è ben poco da fare.

Vi racconto una delle peggiori notti che ho passato da tifoso del Milan. Vi racconto la sera del 25 maggio 2005, quando a Istanbul va in scena la partita a cui tutti vorrebbero partecipare, la finale di Champions League.

Di fronte due delle squadre più blasonate a livello europeo. Il Liverpool di Steve Gerrard, John Riise, Barros (che di nome fa proprio Milan) e del portiere polacco Jerzy Dudek, che in panchina ha Rafa Benitez.

Dall'altra parte il miglior Milan degli ultimi 20 anni. Più forte di quello che due anni prima ha vinto a Manchester la storica finale contro la Juventus, più forte di quello che due anni dopo ad Atene si sarebbe vendicato in un'altra finale dello stesso Liverpool.

Si gioca con la maglia bianca, in tenuta di gala: in porta c'è Nelson Dida, nella difesa a quattro Cafu, Nesta, Stam e Maldini. Il centrocampo delle meraviglie, con Pirlo, Seedorf, Gattuso e Kaka, in avanti Hernan Crespo e Andriy Shevchenko.

Le lancette dell'orologio devono ancora completare il primo giro quando un devastante Kakà va via sulla destra e viene steso da Traoré. Va Pirlo sulla palla, fa il segno del tre con la mano. Uno schema, o il numero di maglia servirà il pallone? Dalle retrovie parte Maldini, si avventa sulla sfera e in girata di destro fa 1-0. Siamo in vantaggio in finale di Champions League e ha segnato il Capitano! Roba da non crederci.

Ma è solo l'inizio. Il Milan è da far strabuzzare gli occhi: Kakà è incontenibile, Shevchenko è una furia, Pirlo e Seedorf orchestrano a centrocampo con la consueta maestria, Crespo è bomber di razza, con classe da vendere. In difesa - da Cafu a Maldini passando per Nesta - ci sono uomini che potrebbero fare tranquillamente i trequartisti. È spettacolo allo stato puro insomma.

Al 15' Sheva fa il secondo su assist di Kakà, il gol è regolarissimo ma l'arbitro annulla per un fuorigioco inesistente: nessuno a posteriori si lamenterà di quell'errore, la partita sfugge a ogni spiegazione tecnico-tattica ma anche arbitrale. Il Liverpool ne avrebbe fatti 4 e avrebbe vinto ai rigori comunque.

Poco male, il secondo gol arriva una ventina di minuti dopo, quando Kakà trova Shevchenko, l'ucraino pesca Crespo in area che deve solo appoggiare in rete il 2-0. Non c'è storia, il Milan imperversa e - dopo aver fallito qualche altra chance - nel finale di tempo serve il 3-0: è un'autentica perla, per buongustai.

Kakà danza sul pallone. Riceve spalle alla porta, si beve un avversario con uno splendido controllo di tacco e serve un pallone col contagiri in profondità. Crespo è a tu per tu, potrebbe metterla dentro in tutti i modi: ma l'argentino rende omaggio all'assist del brasiliano e sigla il tris con un colpo sotto delizioso, di classe assoluta, che lascia in ginocchio Dudek.

È l'apoteosi. Sono in vacanza nel mio paese, Bernalda, 12mila abitanti in provincia di Matera: il mar Ionio è a 10 chilometri, il clima è mite e la partita la guardiamo all'aperto. In un furgoncino è già pronto tutto il materiale per l'eventuale festa. Qualcuno decide di andarlo a prendere nell'intervallo per tenerci pronti al '90, i festeggiamenti sembrano scontati.

E invece... E invece c'è il secondo tempo. Il Liverpool parte aggressivo, il Milan sontuoso dei primi 45 minuti rallenta i ritmi e gestisce. Fino al 54', quando gli dei del calcio scendono all'Ataturk in soccorso dei Reds e iniziano i sei minuti che cambiano la storia. La storia e le storie, quelle personali di diversi giocatori, e penso soprattutto a quel sontuoso attaccante che risponde al nome di Hernan Crespo e che una Champions in vita sua non l'ha mai alzata.

Cross di Riise e testa di Gerrard, 3-1 al minuto 54'. Poco male, penso, ma al 56' Dida non è impeccabile sul tiro da fuori di Smicer e la partita è riaperta. Passano appena 4 minuti e Gattuso stende Gerrard. Rigore, i nostri sguardi si fanno improvvisamente atterriti, eppure appena 20 minuti prima urlavamo, ridevamo e ci abbracciavamo come bambini. È il 3-3, ma non può arrivare normalmente. Nulla è canonico o come te lo aspetti in quel 25 maggio 2005: Dida respinge il rigore di Xabi Alonso, tutti in piedi sulle sedie per esultare ma non c'è tempo, perché sulla respinta si piomba lo stesso centrocampista spagnolo che pareggia i conti.

Milan scoraggiato e Liverpool lanciato verso la vittoria? Macché, i rossoneri tornano a macinare gioco: non è quello sontuoso e fluido espresso nel primo tempo ma è nuovamente il Diavolo a fare la partita.

Io sono scettico ma continuo a crederci, almeno fino al minuto 117, quando - dopo tante altre occasioni fallite dal Milan - accade l'imponderabile. Shevchenko va di testa a botta sicura, Dudek respinge miracolosamente, sul tap in a un metro dalla porta c'è ancora l'ucraino. "Gooo...", no: l'urlo resta strozzato, il tap in di Sheva va a sbattere sul braccio del portiere polacco (o del Dio di Liverpool sceso all'Ataturk per l'occasione) che si stava rialzando.

Le mani nei capelli di Sheva e Kakà sono l'immagine della sconfitta, e io esattamente in quel momento realizzo: "Abbiamo perso".

Abbiamo perso, sì: ne sono talmente sicuro che i rigori neanche li vedo. Li ascolto e li avverto, dalle reazioni dei miei amici. Ne sbagliamo tre su cinque, falliscono anche Pirlo e quel glaciale Sheva che due anni prima aveva gelato Buffon all'Old Trafford. Almeno mi risparmio il balletto di Dudek, ulteriore beffa di una notte stregata.

Quel furgoncino con striscioni, bandiere e coppe di cartone non parte mai, a Bernalda sfilano i tifosi della Juventus per festeggiare il Liverpool (poi venitemi a chiedere perché non tifo per i bianconeri in Europa). Si esce alla spicciolata, vado ad annaffiare la delusione con qualche birra. Non tutti lo fanno, ancora ricordo la frase di un amico milanista, anzi DEL milanista: "Io vado a casa, non ce la faccio".

Non è giusto, ma vincono i Reds. O forse è giusto perché in fondo anche questo è il calcio, ma no, non riesco a capiacitarmene: una squadra da far strabuzzare gli occhi per quanto è bella da vedere, e che in quel 2004/2005 non vince niente.

Una notte maledetta quella dell'Ataturk, ma che si trova esattamente a metà strada tra due notti epiche, trionfali. La più epica di tutte, quella di Manchester del 2003 in cui alziamo la Coppa dopo aver battuto Inter in semi e Juve in finale. E quella di Atene del 2007. Quella della vendetta, dei due gol di Pippo Inzaghi che riportano la Coppa dalle grandi orecchie in via Turati e la consegnano nelle mani di un giocatore (Kakà), al cui palmares non poteva proprio mancare.

Perché in fondo di questo è fatto il calcio. Di gioiosi trionfi e dolorose sconfitte. E di notti che non ti riuscirai mai a spiegare.

Davide Lombardi

(Unioneonline)

GLI HIGHLIGHTS DELLA PARTITA:

© Riproduzione riservata